
24 Giu Dichiarazione di S. Biagio
Dichiarazione di San Biagio[1]
Com’è noto, l’epoca nostra, indicata genericamente con il termine di globalizzazione, è caratterizzata da processi di progressiva differenziazione, eterogeneità e frammentazione. E ancora dall’emergere di nuove economie e paesi industriali, dal successo delle tecnologie digitali (e, più in generale, da un saggio rapido di cambiamento tecnologico), dalla finanziarizzazione delle economie e dalle crisi economico-finanziarie, dalle difficoltà e dalle contestazioni degli Stati-nazione, dall’emergere di nuove identità macro-regionali e metropolitane, dall’affermazione di diaspore e meticciati culturali, da forti correnti migratorie, da disuguaglianze e povertà che offendono la coscienza civile, da scosse telluriche endemiche che mettono continuamente in discussione gli assetti economici, sociali, politici e perfino militari del pianeta, dal terrorismo.
Ostaggi, come ancor oggi ci sentiamo, di modi di pensare e di logiche nazionaliste obsolete, spesso disorientati da andamenti inattesi che alternano improvvise accelerazioni a temporeggiamenti estenuanti, e partendo ciascuno di noi dalla collocazione specifica in cui si trova, facciamo fatica a concepire, ancor prima che mettere in pratica, processi concreti, intellettuali e materiali, che facilitino, attorno a noi, evoluzioni positive verso un mondo più libero, democratico, prospero e giusto.
Indubbiamente, la realtà che si va affermando richiede un lavoro attento di analisi e d’inchiesta che sappia cogliere ed utilizzare a buon fine i molti aspetti di novità che si dipanano sotto i nostri occhi. Ma ciò non deve portare con sé una pericolosa discrasia, o addirittura una soluzione di continuità, con il meglio del “dire” e del “fare” che abbiamo alle spalle.
“A Colorni-Hirschman International Institute” ritiene, infatti, che innovazione e continuità di pensiero siano ambedue indispensabili. Ed a tal fine suggerisce di riflettere sull’esperienza di Eugenio Colorni e sugli straordinari insegnamenti suoi che ancor oggi ci colpiscono e ci orientano; sulle diverse fasi del lavoro di Albert Hirschman, maestro possibilista dello sviluppo e di un “trespassing” senza frontiere; sui suoi numerosi collegamenti e sulla sua partnership con Clifford Geertz a Princeton negli anni Settanta-Novanta del secolo scorso. Si tratta, infatti, di alcuni “punti alti”, fondanti di un angolo di visuale di pensiero e di azione che, a nostro avviso, riesaminati alla luce dell’epoca nuova in cui viviamo e nel libero confronto con numeroso altre influenze ed esperienze, potrebbero aiutarci a capire lo stato delle cose attuali, e dunque ad illuminare il nostro cammino.
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Di seguito si propongono alcuni spunti di riflessione su cui potrebbe impostarsi il lavoro di ricerca e di sperimentazione di ACHII.
In un saggio del 1957 Albert dice che bisogna ad un tempo programmare e sperimentare. Analogamente, pensiamo che il lavoro più ragionevole che l’Istituto possa svolgere sia, da un lato, di procedere alla costruzione di una piattaforma di pensiero, di un punto di riferimento in continua espansione largamente condiviso; e, dall’altro, di promuovere numerosi studi ad hoc sulle diverse realtà, sperimentazioni ed invenzioni.
La piattaforma di riferimento
Alle sue fondamenta, essa si basa sull’influenza di Colorni su Hirschman e, viceversa, sul modo in cui l’evoluzione del pensiero di Albert, a contatto con numerosissimi altri influssi, ci consente oggi di riutilizzare il pensiero di Eugenio per capire il presente.
Perché Colorni, quale Colorni
Il lavoro di Eugenio costituisce per noi un tesoro da far emergere e valorizzare. Attualmente, in Italia, Colorni è un po’ più conosciuto di prima (soprattutto tramite gli studi collegati al centenario della sua nascita – 2009); ma si tratta di un Colorni spezzettato in politico, filosofo, federalista, partigiano. All’estero Eugenio è sconosciuto: non esistono traduzioni del suo lavoro. Inoltre, manca a tutt’oggi una comprensione vera delle ragioni toerico-politiche degli scritti di Colorni.
Colorni è stato un filosofo ribelle, che ha lottato contro la “malattia filosofica”. Eugenio se ne è liberato di tale infermità perché la filosofia prometteva allora una conoscenza generale senza steccati (tra scienze naturali e umanistiche), e una capacità di guida per l’azione; ma non era affatto all’altezza di tali promesse. Nelle lettere dice: “detesto ogni sistema filosofico che voglia ‘chiudere il cerchio’, e darti la spiegazione generale dell’universo. Ma la filosofia come strumento, come fascio di luce che chiarisce equivoci e toglie pregiudizi, mi pare sempre indispensabile”.
“I filosofi, in fondo, si preoccupano poco di ‘capire’, e troppo di ‘spiegare’. E spesso le due cose sono antitetiche l’una all’altra. Spiegare infatti vuol dire trovare quella tal teoria, quel tal sistema, quella tale organizzazione del reale, in cui ogni cosa sia al suo posto e ci sia un posto per ogni cosa. Capire vuol dire mettersi, per così dire, in uno stato di passività di fronte alle cose, pronti ad afferrarle per il verso che ci si presti più opportuno”.
“Capire”, per Eugenio, voleva dire stupirsi dei fatti che ci sorprendono (invece di sottovalutarli ed archiviarli); utilizzare i loro messaggi impliciti per correggere quotidianamente il proprio pensiero, in modo da renderlo più corrispondente alle esigenze della realtà. La ricerca deve portare alla scoperta di aspetti reali che non conoscevamo o non eravamo riusciti a decodificare: deve essere utile. Il dire e il fare debbono andare insieme.
Il “modo di procedere” di Colorni (quello dei suoi famosi stratagemmi) era caratterizzato da: la tesi del dubbio (o della dubbiosità) con cui bisogna rimettere in discussione i capisaldi di ciò che ci sembrava di aver capito; la necessità di uscire dal proprio guscio per confrontarsi con il mondo (l’esigenza di appurare i motivi di certe scoperte e dei loro limiti, di sperimentate linee direttrici nuove); l’interesse per osservazioni magari piccole, ma fresche, ingenue, che aprano al nuovo – tali dunque da essere utili, semplificatrici, illuminanti, propulsive; il fare attenzione alla proiezione involontaria di sé sull’oggetto di studio e alle ragioni “poco belle” che producono tale fenomeno; l’esigenza di trattenere i sensi per evitare (per quanto è possibile) di sovrapporli alla realtà, in modo esser pronti ad afferrarne il significato nel modo più opportuno; l’empatia, il riconoscimento dei meriti altrui, l’importanza del rapporto affettivo e del rispetto più assoluto dell’autonomia individuale, come vie per capire e capirsi davvero nell’accertamento della verità; la ricerca dei meccanismi che danno il passo ecc.
L’ influenza di Colorni su Hirschman
Questi spunti si colgono negli scritti e nell’operare di Eugenio del periodo in cui Albert lo ha frequentato (soprattutto gli anni di Trieste, 1937-38). Ed essi sono effettivamente all’origine dell’ampia e stupefacente produzione scientifica di Albert, a cui, in questa sede, non possiamo fare altro che rimandare – sottolineando, tuttavia, che, a partire “da cosa nasce – o non nasce – cosa”, da “perché un’iniziativa riesce a durare”, dallo sprigionamento delle energie, dalla costruzione di meccanismi induttivi e responsabilizzanti, dal “complicare l’economia” per renderla più efficace a fini interpretativi e più agibile nelle sperimentazioni, dalla valutazione… ecc, tale ispirazione intellettuale fa parte del background più vissuto di numerosi iniziatori della nostra iniziativa.
Albert non ha mai voluto scrivere sull’opera di Eugenio, ma ha sempre riconosciuto il suo debito intellettuale nei confronti di quest’ultimo. Hirschman parla di “piccole idee” sparse, che possono essere sviluppate via via a partire da una qualsiasi angolazione o disciplina sociale (e letteraria). Persegue conoscenze specifiche “buone e nuove”: non rivendica tanto qualche osservazione originale, quanto la sua capacità di svilupparla fino alle sue conseguenze. (Ed anche per questo nota che Eugenio ha avuto “troppe idee” per poterle condurre a compimento nella sua breve vita).
In molti lavori di Albert si trovano assonanze con idee e metodi di lavoro di Colorni. Ad esempio, parlando delle posizioni dei democratici e dei socialisti a proposito dell’internazionalismo, Eugenio (Prefazione al Manifesto di Ventotene – 1944) mostra semplicemente come stanno le cose, così come in The Rhetoric of Reaction (1991) Hirschman presenta un’analisi fenomenologica inedita del pensiero ultraliberale (e di quello progressista). Eugenio parla di interessi e sentimenti degli stati moderni, cosa di cui Albert si sarà certamente ricordato scrivendo The Passions and the Interests (1977). L’idea dell’Europa federalista può rappresentare, secondo Colorni, un punto di svolta che porti con sé un cambiamento nei diversi aspetti della politica: ritiene necessario concentrare le energie su di esso per aprire le porte al futuro; analogamente Albert sviluppa le sue idee sulla crescita non equilibrata (The Strategy – 1958) e sul veleggiare contro vento. Per non parlare, ovviamente, dell’importanza attribuita al dubbio,ed ai numerosi stratagemmi di origine colorniana, che sono (tra l’altro) alla base dell’idea hirschmaniana del micro-fondamento della democrazia.
L’idea del “trespassing” (Hirschman, 1981), ossia dell’applicare ad un campo risultati ottenuti in un altro, richiama alla mente il metodo di Colorni di riproporre in politica ciò che aveva appreso studiando la filosofia e le scienze naturali (dove, ad esempio, dalla fisica di Einstein aveva imparato a sviluppare l’idea kantiana secondo cui spazio e tempo non sono entità reali ma relazionali).
Naturalmente, bisogna aggiungere, tuttavia, che questi ragionamenti di Eugenio sono stati elaborati a partire dall’orizzonte culturale del suo tempo, caratterizzato dalla distinzione tra conoscenze naturali e umanistiche, mentre Albert ha sviluppato proprio quel “tertium” che esiste tra le due. Vale a dire: le scienze sociali.
Hirschman a Princeton: la svolta culturale e le sue conseguenze
Negli anni di Princeton, Albert ha sviluppato una forte partnership intellettuale con Clifford Geertz. Il programma di ricerche che essi hanno immaginato per la “School of Social Science” delI’Institute for Advanced Study si propone di “attribuire alla scienza sociale in generale un significato interpretativo, ermeneutico – diverso da quello quantitativo e causale tipico della tradizione americana”.
Albert diventa professore di Social Science, e tutto il suo lavoro di questo periodo riflette quella definizione. La svolta culturale di Hirschman ci spinge, dunque, a conoscere i suoi amici ed interlocutori.
Geertz ci apre orizzonti nuovi, sia dal punto di vista disciplinare (l’antropologia, il rapporto con la storia e con Robert Darnton, il coinvolgimento di Wolf Lepenies che proprio all’IAS prepara Die drei Kulturen – 1985), sia da quello della problematica del nostro tempo (conseguenza, tra l’altro, del processo mondiale della cosiddetta de-colonizzazione). Lepenies, a sua volta, ci fa capire meglio l’Europa (e soprattutto la Germania, dal cui tragico destino degli anni Trenta del secolo scorso traggono origine le esperienze di Eugenio e di Albert).
Questa nuova elaborazione ci può aiutare non solo a capire lo stato di cose presente, ma anche a farci riappropriare del pensiero di Eugenio, e ad apprezzarne la vitalità.
Qui possiamo solo intravvedere qualche spunto di riflessione:
– globalizzazione, città metropolitane, Jihad possono essere meglio capite alla luce degli scritti di Geertz, e riadattando i nostri concetti di federalismo (di Cattaneo contro il centralismo, di Colorni contro il nazionalismo), democrazia, autodeterminazione, fraternizzazione… La globalizzazione rappresenta, tra l’altro, un grande “rimescolamento” post-westfaliano.
– La costruzione europea può essere ripensata alla luce della critica contenuta nel lavoro di Wolf Lepenies sulla Germania, e del legame tra federalismo interno e quello esterno (europeo) a cui pensava Eugenio.
Sperimentazioni e invenzioni
L’influenza di Eugenio e di Albert su di noi
– Anche noi cerchiamo di “dire” e di “fare”, il “saper fare come”.
– Le nostre “storie” e “narrazioni” esemplificate brevemente a Montepulciano.
– Il “Bollettino degli Improbabili” degli anni Novanta[2] ecc.
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L’Istituto a cui abbiamo dato vita, figlio di un’esperienza alquanto improbabile[3] di diversi lustri, nasce in Italia, per le particolari condizioni, soggettive e oggettive, che si sono verificate in passato nella Penisola – prima in alcune zone del Mezzogiorno e poi anche altrove; e continua ad avere inevitabilmente le sue radici e le sue basi di partenza nel Bel Paese[4].
Ma la sua ambizione ed il suo intento principale riguardano, per quanto è possibile, l’Europa ed il mondo intero. E’ la logica stessa della piccola tradizione di pensiero appena evocata che lo richiede. Sono le sue istanze profonde che intendiamo far rivivere tramite un nuovo impulso, in una situazione che, a nostro avviso, non ha mantenuto (purtroppo) le promesse di incivilimento che aveva a lungo promesso. E’ l’esigenza di un revival culturale che, apprendendo di nuovo dalla complessità del mondo che ci circonda, consenta di riscoprire i valori comuni di una costruzione europea aperta, in grado di ascoltare, capire, condividere, prefigurare; capace di offrire il proprio contributo – con particolare interesse per i problemi dell’est europeo e del Mediterraneo.
“A Colorni-Hirschman International Institute” è un’associazione a finanziamento interamente privato, in parti uguali tra Entopan, l’Associazione Eugenio Colorni e Nicoletta Stame e Luca Meldolesi.
L’Istituto realizza e promuove attività di ricerca e di studio, di formazione e d’informazione, allo scopo di favorire e diffondere la cultura economica, sociale e politica che si ispira alla tradizione di pensiero più sopra richiamata, approfondendo e divulgando il suo contributo allo sviluppo e all’emancipazione della donna e dell’uomo in una prospettiva internazionale e multidisciplinare.
La dimensione internazionale:
– mantenersi collegati, per quanto possibile, agli intellettuali dei diversi campi che sono stati gli amici di Albert.
– Diffondere il pensiero di Eugenio.
– Mostrare nella pratica la potenza intellettuale concreta di questo modo peculiare di “dire” e di “fare”.
La ricerca:
– Comprendere ed approfondire gli sviluppi del lavoro di Hirschman, imparando di nuovo. Rivisitare l’opera di Eugenio e di Albert via via che questo modo di guardare le cose si consolida. Riequilibrare il piano generale (il nostro “Pantheon”) estendendolo a più autori.
– Aiutare giovani ricercatori a tener viva quella tradizione di pensiero (come la stiamo rielaborando adesso), anche con l’aiuto e supervisione dell’Advisory Committee dell’Istituto.
– Esercitarsi a capire come vengono al mondo le “alzate d’ingegno” altrui (come amava fare Colorni), e inventarne di nuove.
Dire e fare:
– Valorizzare (ripescare, chiarire) ciò che abbiamo fatto fin qui, ponendo l’accento sul nostro know-how e quindi sulle nostre “invenzioni”.
– Applicare il nuovo punto di vista, per quanto si è capaci di farlo, all’interpretazione dei problemi correnti (ad es., globalizzazione, città metropolitana ecc.).
– Prendere contatto con i leader potenziali della giovane generazione, favorendone l’iniziativa nei campi dell’impresa e dell’amministrazione (pubblica, privata e di terzo settore). In questo ambito sono previste presentazioni e facilitazioni finanziarie per il Global Village for Future Leaders della Lehigh Univ. (Penn.)
– Prendere contatto con giovani studiosi intenzionati ad approfondire questo punto di vista. A tal fine il nostro Istituto può offrire:
- Supervisioni gratuite di economia, sociologia, scienza politica ecc.
- Contributi per viaggi in Italia e all’estero.
- Contributi per brevi soggiorni in Italia e all’estero.
- Permanenze di studio a Vicenza, Cambridge (Mass.), Berlino, Parigi e Bruxelles.
- Premi per ricerche e tesi di laurea.
- Piccole borse di studio.
Vedi anche: Dossier S. Biagio
NOTE
[1] L’esigenza ed i termini essenziali di questa dichiarazione sono emersi durante il primo incontro dell’Advisory Board di “A Colorni-Hirschman International Institute” tenutasi alla Casina di San Biagio, a Montepulciano di Siena, il 15-17 maggio 2015.
[2] Pubblicato presso la cattedra di politica economica e finanziaria della Facoltà di economia dell’Univrsità Federico II di Napoli (trenta numeri).
[3] Si allude qui al lavoro iniziato all’Università federico II di Napoli negli anni Ottanta del secolo scorso sulla scia di un dialogo proficuo con Albert Hirschman, che, tra le tante cose, ha pubblicato a lungo il bollettino richiamato nella nota precedente.
[4] Più esattamente, il lungo processo formativo del’Istituto (all’Università, al governo, sul territorio), basato su assi hirschmaniani (“da cosa nasce – o non nasce – cosa” e “perché un’iniziativa riesce a durare”), ha sviluppato una relazione interattiva ed iterattiva assai stretta, a fasi alterne, tra specifiche realtà di riferimento e sviluppo del pensiero. E’ tale esperienza che consente ora di travalicare i propri confini e di ri-proporsi, mutatis mutandis in termini più generali.