Il nostro Colorni

Il nostro Colorni

Eugenio Colorni

Eugenio Colorni (1909-1944), filosofo e politico, socialista e federalista.  Nato a Milano in una famiglia di solide tradizioni risorgimentali,  si è formato come filosofo e come critico estetico per poi avvicinarsi alla psicologia e alle scienze naturali. All’inizio degli anni ’30 del ‘900 si reca a Marburgo per proseguire i suoi studi su Leibniz, e a Berlino si incontra con Ursula e Albert Hirschmann.  Rientrato in Italia nel 1933, insegna filosofia in un liceo di Trieste.  In quegli anni è responsabile del Centro interno socialista (1935-38);  viene poi incarcerato nel 1938 in seguito alle leggi razziali e confinato a Ventotene, dove insieme a Altiero Spinelli, Ernesto Rossi e Ursula Hirschmann  promuove  il Movimento Federalista Europeo e collabora alla stesura del  Manifesto di Ventotene, per cui  scritto l’Introduzione. Dirigente della resistenza romana, viene  colpito a morte dalla famigerata banda Koch pochi giorni prima della liberazione di Roma.

Colorni è una straordinaria figura di intellettuale ribelle che ha saputo superare i limiti del pensiero tradizionale,  sia quello  filosofico  (ha scritto un testo intitolato La malattia filosofica), sia quello politico, come egli ricorda quando a Ventotene  “si sentiva il bisogno non semplicemente di correggere gli errori del passato, ma di ri-enunciare i termini dei problemi politici con mente sgombra   da concetti dottrinari  o   da miti di partito”.

E’ stato uomo del pensare e del fare.  E’ stato un maestro, un compagno, un dirigente democratico,  che esortava a fare affidamento  sulle proprie forze e sulle energie collettive che esistono  –  come ricordano  i suoi amici, i compagni della lotta antifascista, della battaglia federalista e soprattutto dell’impegno diretto, della “fase del coraggio” nell’anno della resistenza romana.

Lascia una straordinaria serie di testi di carattere filosofico, psicologico  o estetico, così come di orientamento politico, di direttive per l’azione pratica, in cui emerge l’originalità del suo pensiero, che va dalla lotta all’antropomorfismo nelle scienze al rifiuto di ogni dogmatismo, e che si riassume nel suo approccio “possibilista”, che verrà poi ripreso e sviluppato da Albert Hirschman.

L’Istituto Colorni-Hirschman è impegnato nell’apprendimento della lezione di  Colorni e nella pubblicazione dei suoi scritti, molti dei quali finora inediti.  Nel farlo intende superare una ricezione passata, che separava il Colorni filosofo dal Colorni politico, per mettere in luce come le due dimensioni si richiamino costantemente nel suo lavoro.  L’Istituto intende poi  far conoscere Colorni  anche a un pubblico non specialistico, e soprattutto  a un pubblico internazionale.  Sono state pertanto attivate due collane di scritti, presso Rubbettino in italiano e presso Bordighera Press (NY) in inglese.  In prossimi numeri di questa newsletter  daremo conto di queste pubblicazioni.

Qui ci limitiamo a mettere in luce alcuni aspetti del pensiero di Colorni che ne mostrano la vitalità, e che ci ispirano nel nostro lavoro.

Il suo stile interrogante ed esplorativo era caratterizzato dall’ essere sempre illuminato da una ispirazione guida (fratellanza, incivilimento, federazione, quello che lui considerava  “alcune tendenze fondamentali che  basta aver chiare nel proprio cuore e, direi, nel  proprio istinto”) per  poi procedere col dubbio, cercando di capire come le cose evolvono, analizzando  la situazione reale, le condizioni in cui ci si trova,  per distillarne vie d’uscita e proposte da perseguire; e rifinendo la strategia al fine di padroneggiarla.  Era contrario a modelli e paradigmi, e aperto alla scoperta e a nuove soluzioni.

Lavorare nelle condizioni date significava, ad esempio,  combattere il fascismo dall’interno della cultura corrente, di destra e di sinistra,  individuando  le opportunità  (ad es. il malcontento per la guerra d’Abissinia che consentiva di agganciare le classi medie),  facendo appello alla sete di giustizia dei giovani  e al ruolo che egli poteva esercitare come insegnante,  lavorando sulle difficoltà delle  autorità fasciste.  E questo lo induceva anche a capire come poter sfruttare forme di spontaneità organizzativa  delle masse che favorissero la diffusione delle idee anti-fasciste senza compromettere l’organizzazione clandestina.  Ma poi anche a sfruttare a pieno lo sconvolgimento causato dalla caduta del  fascismo  organizzando la lotta armata a Roma, e dando sfogo alle idee innovatrici di liberazione sociale e di lotta all’antagoismo inter-imperialista.

Evitare la contrapposizione esplicita, la disputa puramente ideologica, cercare cosa può essere utile anche nelle  argomentazioni  altrui – tanto nella politica come nella  critica filosofica –  superando le barriere ideologiche: questo gli consentiva sia di muoversi  liberamente nei confronti dei mostri sacri come Croce, sia di lavorare per l’unità delle forze antifasciste,  per aiutarle a superare vecchie contrapposizioni.

Tener conto dell’evoluzione della situazione, e  intravvedervi  delle strade inedite che possono spingere all’azione è anche alla base del suo  modo di concepire il federalismo. Non come principio già presente  nel pensiero politico europeo, ma come idea nuova, suggerita dall’evolvere della situazione internazionale alla fine della guerra, che avrebbe posto nella necessità di confrontarsi  con il comportamento delle nazioni vincitrici. L’ideale della federazione europea, che solo pochi anni prima poteva  sembrare  lontana utopia,   gli appariva come una ”meta raggiungibile e quasi a portata di mano”, come alternativa ai nazionalismi.  E qui intravvedeva l’alternativa tra l’avvicinarsi “per via di trattative diplomatiche e per via di agitazione popolare (…) influendo  sulle sfere dirigenti degli Stati vincitori, ed agitando negli Stati vinti la parola che solo in una Europa libera e unita essi possono trovare la salvezza ed evitare le disastrose conseguenze della sconfitta”  (p. 47). Egli infatti concepiva la lotta federalista contro i nazionalismi  non solo come valida in sé, ma come fattore propulsivo di cambiamento , come nuovo processo interattivo esterno-interno.

Nicoletta Stame, per “Europa Mondo” n. 25