Incontri alla Bocconi. Milano 9 luglio 2013. La competitività delle aziende

Incontri alla Bocconi. Milano 9 luglio 2013. La competitività delle aziende

di Saverio Cioffi
In 15 anni d’esperienza di temporary manager/direttore di PMI, mi sono spesso imbattuto nei limiti culturali e di visione di diversi imprenditori i quali, nel constatare la scarsa competitività delle loro aziende, tendevano (tendono) ad imputarla prevalentemente (se non esclusivamente) a fattori esterni alle stesse ( politiche istituzionali, sistema creditizio, eccessiva burocratizzazione ecc.) piuttosto che anche a problematiche organizzative e gestionali interne. Qualsiasi organizzazione, invece, riflette la “mano” di chi la imposta e/o la governa.
L’assenza di metodo, l’incapacità di gestire le criticità e di selezionarsi i collaboratori, l’incoerenza nel pensiero e nelle azioni, il non saper comunicare (sia verso l’esterno che verso l’interno), sono tra le cause più diffuse di insuccesso degli imprenditori. La maggior parte delle PMI, pur producendo, in alcuni casi, dei buoni profitti, sono pervase da improvvisazione, scarsa organizzazione, orientamento esclusivamente ai ricavi piuttosto che anche al contenimento dei costi, da uno stile di direzione coercitivo ecc.
La storia delle aziende di successo, diversamente, ci insegna che l’impresa è fatta di pianificazione, regole certe (ma modificabili in funzione delle mutabili strategie d’impresa), di organizzazione e fasi lavoro, di una comunicazione chiara e coerente, di risorse umane adeguatamente selezionate, formate e fidelizzate ecc. La competitività delle imprese va quindi costruita, cercando di valorizzare le potenzialità inespresse affinché, indipendentemente dai mercati di riferimento e dalle “minacce” da essi provenienti, le aziende siano in grado di gestire e superare qualsiasi criticità.
Per favorire ciò però, necessitano drivers aperti, evoluti, flessibili che sappiano circondarsi di persone valide, formate con uno stile di direzione di natura partecipativa secondo il concetto dei centri di responsabilità e retribuite globalmente in maniera eccellente (la retribuzione globale spazia dalla parte economica a quella legata ad aspetti immateriali come quelli motivazionali, dall’architettura degli ambienti di lavoro al layout degli stessi ecc.).
Se un’azienda ambisce ad essere competitiva e durare nel tempo, se ha la pretesa di essere inimitabile e di non temere la sottrazione, da parte della concorrenza, del proprio patrimonio umano/formativo, deve puntare ad un modello come quello appena descritto, per due motivi di fondo:
1. l’impresa che si struttura puntando a valorizzare e governare le potenzialità dei singoli, diventa imprevedibile ed inimitabile perché sono inimitabili e non prevedibili le performance dei singoli;
2. i collaboratori, dall’operaio al dirigente, che si sentono rispettati, gratificati e partecipi alle attività aziendali non avvertono la necessità di migrare verso altre società, anche se sollecitati economicamente. Viceversa, un imprenditore avveduto difficilmente si priva di dipendenti validi.
Chi pratica il mondo aziendale, avrà avuto modo di constatare il diverso approccio che le persone hanno oggi verso il mondo del lavoro: si cerca soprattutto qualità, regolarità delle posizioni ed un ambiente sano e sereno dove poter crescere ed esprimersi al meglio delle proprie potenzialità. L’imprenditore di successo, è dunque quello che è in grado scegliersi e formare “l’equipaggio” secondo criteri meritocratici e di partecipazione perché una squadra che funziona lo rende meno proteso al quotidiano (e quindi all’operativo in senso stretto) e più orientato alle strategie e alle relazioni istituzionali (e quindi al business).
In definitiva, la competitività di un’azienda si misura sulla base del proprio sistema di obiettivi/valori. Se l’obiettivo è quello di esercitare solo azioni speculative di breve e medio periodo, e i valori fondanti sono una conseguenza di questo atteggiamento, siamo sicuramente in presenza di una azienda non competitiva, destinata a scomparire una volta ripulito “il filone d’oro”.
Se, invece, siamo in presenza di un’azienda che ha tra le sue finalità quella di creare premesse culturali ed organizzative di alto profilo, siamo in presenza di un’impresa in grado di durare e competere a qualsiasi livello.
Tra l’altro, il sistema valori di un’azienda è uno strumento pedagogico di rilevante importanza che può produrre effetti a cascata sul territorio, mediante la diffusione di competenze (diretta e indiretta) e, di conseguenza, formare alte coscienze civiche. Se un approccio del genere è praticato in maniera sparsa e non in rete, produce effetti limitati alle singole realtà a differenza, invece, che se fosse elevato a rango di politica economica e sociale del territorio.
Il coinvolgimento attivo di soggetti istituzionalmente deputati anche a tale ruolo (Stato, Regioni, Province e Comuni) potrebbe contribuire a tale scopo mediante una legislazione tendente più ad “accompagnare” (tutoraggio e formazione diretta) che ad “aiutare” (agevolazioni fiscali e finanziarie) le imprese nei loro percorsi di sviluppo e consolidamento. Una delle diverse iniziative ipotizzabili in tal senso è la creazione di una classe dirigente (tutor) specifica per le PMI (che hanno caratteristiche e quindi esigenze molto diverse dalle grandi imprese) mediante alte scuole di formazione certificate.