
11 Lug Possibilismo e PA?
Cari amici,
le esperienze professionali di alcuni di noi, “Meldolesi girls & boys”, si sono sviluppate nell’ambito della PA o nei suoi dintorni.
Io stesso lavoro da molto per un’istituzione che, seguendo modelli organizzativi aziendalistici, opera come in-house (primo storico organismo di questa tipologia in Italia) a servizio dell’Amministrazione Centrale dello Stato.
Queste nostre esperienze meritano di essere messe a confronto per rintracciarne tratti comuni ovvero per vederle come casi singolari capaci di insegnare prospettive di cambiamento possibili anche in un settore che sembra monolitico e stagnante. E in realtà non è così o non lo è del tutto.
Uno dei nostri vantaggi, politico, comportamentale ed interpretativo, è quello di essere stati educati al, e di praticare a volte il, possibilismo. Una condizione intellettuale, e morale, che favorisce la sensibilità e la capacità di ritrovare reperti, a volte frammentari, tanto preziosi e utili a far intravedere e comprendere le possibilità di miglioramento anche di situazioni poco “incoraggianti”.
La musica in questo settore è quasi sempre la stessa.
Da un lato, quella suonata dalla c.d. opinione pubblica, denuncia un’incontrovertibile vocazione all’inefficienza, inefficacia e al fallimento dell’azione amministrativa e, di conseguenza, evidenzia l’esuberanza, la ridondanza di personale, di costi e lo spreco generale di risorse. Dall’altro lato, quella suonata dall’interno della PA, è il contrappuntistico canto inverso che evidenzia come gli impegni richiesti alla Pubblica Amministrazione siano costantemente sovrastanti e sproporzionati rispetto alle capacità delle sue organizzazioni e delle risorse disponibili, sempre insufficienti a reggere i carichi di lavoro ed a raggiungere gli obiettivi attesi.
In entrambi i casi, sono musiche che ben accompagnano un angosciante salmo del misere della PA.
Contemporaneamente la “voce” di protesta (forse molto meno l’uscita e l’abbandono), espressione delle valutazioni negative delle funzioni e dei servizi resi dalla PA, è evidentemente più pressante. Fino ad alcuni decenni fa, l’inefficienza amministrativa poteva “godere” di una più ampia possibilità di inguattamento e oscure sacche di inefficienza ed inefficacia stagnavano nella tranquilla segretezza dei covi degli uffici pubblici. Oggi, la vigilanza collettiva, forte anche degli attuali sistemi mediatici, è diventata più sensibile, immediata e capillare tanto da aver portato il problema della produttività della amministrazione ad un livello di attenzione diffusa.
A dispetto di questa rappresentazione di precarietà e criticità generali, alla Pubblica Amministrazione è richiesto sempre di più, sia in termini quantitativi sia in termini qualitativi. Le nuove competenze della PA richiedono più alte specializzazioni e migliori capacità. Guardando al presente, alle Amministrazioni è chiesto spesso il raggiungimento di obiettivi complessi, aggiuntivi rispetto ai compiti ordinari. Com’è, ad esempio, quello attualissimo di dover attuare gli interventi del PNRR. Prova epocale per il sistema amministrativo italiano, soprattutto di quello locale!
Il nostro punto di vista, di practitioners possibilisti, può introdurre un modo nuovo di comprendere la “metà del mondo” (il settore pubblico può essere grosso modo considerato come la metà del sistema produttivo italiano!) e contribuire a scoprirne, a capirne e a spiegarne le energie (tantissime) impegnate e come pochi grani di saggezza possano generare successi, più o meno grandi e più o meno inattesi.
Le condizioni degli scenari dell’azione amministrativa sono tanti: il rapporto col decisore politico; la capacità di innovazione delle competenze e delle tecnologie; la capacità di industrializzare e standardizzare i processi; l’attenzione alla trasparenza e alla legalità simbiotica col miglioramento della produttività; le possibilità di aggiornare le competenze professionali e le propensioni al cambiamento; l’immedesimazione negli obiettivi della politica e, viceversa, la capacità di addomesticare le intemperanze della politica rispetto alle regole amministrative; il funzionamento delle relazioni bottom-up nella filiera verticale e in quella orizzontale per lo scambio di competenze ed esperienze; le resistenze alle contaminazioni ambientali in contesti di illegalità diffusa….etc., etc., etc…..
Al di là e al di sopra delle tante condizionalità in cui opera la PA, abbiamo la possibilità di mostrare piccoli o grandi esempi di buon governo, inventati e/o ritrovati nel corso delle nostre esperienze professionali.
Questo è un primo motivo per confrontarci ed avviare una serie di riflessioni comuni sul tema del ruolo della nostra Amministrazione Pubblica e delle concrete vie per il suo miglioramento e, caso mai, riuscire a superare le mitologie che rappresentano la PA soltanto come un grande e nefasto problema per il Paese.
Paolo di Nola