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Stato amico
Fin dalle prime esperienze degli anni ’90 del ‘900 abbiamo lavorato perché l’amministrazione pubblica si comportasse come uno “Stato amico che non si fa imbrogliare”. Notavamo che l’inefficienza nell’affrontare problemi che riguardavano le imprese, i servizi, l’istruzione e in generale il benessere dei cittadini si accompagnava a comportamenti opportunisti inveterati da parte della popolazione. E parlavamo di tre flagelli da combattere (corruzione, clientelismo, corporativismo).
Le proposte per l’industrializzazione leggera nel Mezzogiorno, per l’emersione del lavoro non regolare, per lo sviluppo locale, formulate a partire dalla conoscenza del territorio e da prime sperimentazioni, facevano appello alla responsabilità degli amministratori pubblici per rispondere ai bisogni di emancipazione delle realtà locali, superando le logiche burocratiche che avevano finora bloccato le potenzialità esistenti.
Negli anni successivi, a più riprese e in diversi campi di intervento, si sono fatte esperienze in materia. Una sintesi di questa impostazione è rinvenibile nei “Cinque punti” tracciati da Luca Meldolesi in La quarta libertà (Bonanno, 2007, p. 91-94), che si possono sintetizzare così: