26 Feb Venti del Sud n.16 – Febbraio 2024
Trasformare le intuizioni in imprese. L’esempio di Salvo Sichili in Sicilia
di Laura Fantini*
Intervista a Salvo Sichili, EtnaHi Tech**
Salvo Sichili è una persona eclettica, che ha saputo mettere a frutto la sua laurea in economia e la sua capacità relazionale per fare impresa a Catania sin dai tempi in cui era uno studente universitario. Si definisce una persona molto fortunata, ma forse più che di fortuna Salvo è dotato di un’innata capacità di intravedere le possibilità, di studiare le situazioni e di capirne i meccanismi di funzionamento. È inoltre una persona molto concreta, una persona del dire e del fare, capace di raccogliere intorno a sé i giusti elementi e le giuste persone per tramutare in realizzazione un’intuizione, in impresa una “buona idea” (come la chiama lui). Laureato in economia, con un dottorato in Economia e politiche agrarie, imprenditore, assistente universitario, presidente comitato investitori e direttore della business unit skill&training di EtnaHi Tech, vicepresidente di Confcommercio della Provincia di Catania
* Laura Fantini è direttrice dell’A Colorni-Hirschman International Institute; è esperta di cooperazione internazionale allo sviluppo e valutazione
Dal parcheggio al terziario avanzato: come cogliere le opportunità e apprendere dalle esperienze:
Salvo si definisce “imprenditore da sempre”, da quando già in primo liceo il padre decise di affidargli un budget annuale da gestire piuttosto che una paghetta settimanale, come più tradizionalmente fanno i genitori con i figli di quell’età. È a partire da allora che Salvo inizia a fare i conti con la necessità di decidere come e dove investire il suo primo piccolo capitale; e quando durante gli anni della laurea in economia inizia a studiare le imprese cash cows,cioè quelle imprese a basso rischio che danno un reddito basso ma costante, decide di investire i suoi risparmi per testare quello che stava studiando e cimentarsi con la sua prima avventura imprenditoriale.
Una decisione quella del padre, che unita all’amore appassionato per la terra d’origine, inconsapevolmente ha alimentato questa prepotente vena imprenditoriale del figlio e gli ha fornito la possibilità di iniziare la sua prima avventura d’impresa investendo i suoi risparmi per acquistare alcune quote di un parcheggio pubblico sotterraneo. In quell’occasione Salvo azzarda una proposta al proprietario del parcheggio: “posso permettermene un quarto se ti interessa, io ho delle idee, però se riesco ad arrivare ad un aumento almeno del 60% dell’incasso nel giro di un anno, l’altro quarto me lo compro a metà prezzo”. Qualcuno potrebbe dire che questa negoziazione fu il frutto dell’ottimismo e dell’avventatezza giovanile; invece, Salvo aveva studiato bene la situazione e aveva osservato che quel parcheggio aveva una caratteristica molto interessante: sorgeva accanto ad un grande ospedale. Nel giro di due mesi dal suo ingresso Salvo modifica la gestione del parcheggio proponendo ai clienti contratti a 12 ore, diurni per il personale ospedaliero e notturni per i residenti, di conseguenza riuscendo quasi a raddoppiare i posti auto e gli incassi del parcheggio. Salvo a quel punto rileva l’altro quarto dell’azienda, poi lo rileverà tutto. È allora che diventa “u principaleddu” (in dialetto catanese il principale, cioè il titolare, il proprietario) e crea intorno a sé una corazza di affetto e di rispetto all’interno del quartiere in cui si trova il parcheggio, un quartiere periferico e degradato, dove chi lavora bene può essere facile preda di pressioni malavitose. Siamo nella Catania dei primi anni ’90, quando ancora non era arrivata l’onda lunga positiva degli effetti della vicenda di Falcone e Borsellino, che diede finalmente una scossa alle coscienze e animò lo spirito di rivolta degli imprenditori. Questa corazza Salvo se la guadagna “facendo lavorare in maniera dignitosa la gente del posto, sforzandosi di capire quali erano i bisogni della gente, stabilendo regole giuste, trattando tutti correttamente, mettendosi a disposizione, coinvolgendo tutti in questo spirito positivo,”, in breve “mettendosi in equilibrio con il quartiere che ti ospita”. A primo acchito cose semplicissime che nella Catania di quegli anni in determinati quartieri non erano assolutamente scontate, ed erano percepite dai residenti come qualcosa di assolutamente nuovo.
Per Salvo essere imprenditore significa essere a “capo di una comunità […] e la comunità va elevata, va assecondata la possibilità per tutti di diventare qualcos’altro, di realizzare i propri sogni. Io non la vedo nemmeno come una restituzione, la vedo come la diretta conseguenza del fare l’imprenditore; se tu lo fai nel modo giusto, il give back è una cosa scontata.”
Durante tutto il racconto che Salvo fa di sé, più volte ritorna l’idea che tutte le esperienze imprenditoriali che ha fatto “hanno fatto l’uomo che è oggi”; da quelle più semplici a quelle più complesse, da quelle di successo a quelle che per vari motivi si sono esaurite, sono tutti nodi di una tela con cui Salvo ha tessuto il suo vestito da imprenditore. Nel suo racconto traspare chiaramente la capacità di vedere gli aspetti positivi anche nelle esperienze che non sono andate bene e di saper apprendere dai successi come dai fallimenti.
Salvo porta sempre a casa un insegnamento, come dall’esperienza della società che installava chioschi multimediali in diverse postazioni di alto traffico nella città di Catania, avviata nel 1998-99 e poi chiusa dopo qualche anno. Un’esperienza in cui “non guadagnammo niente, anzi, forse qualche euro ce l’abbiamo rimesso, che però ha convinto definitivamente Emanuele[1] che io e lui insieme potessimo essere una grande squadra. E inoltre preziosa per il ritorno umano nei numerosi messaggi commossi di ringraziamento da parte dei suoi concittadini emigrati in tutto il mondo, che per la prima volta avevano potuto vedere in diretta i festeggiamenti di Sant’Agata tramite collegamento online.
Nell’arco degli ultimi 25 anni, Salvo passa da un’esperienza imprenditoriale all’altra senza soluzione di continuità. Il primo garage degli anni universitari diventano quattro garage subito dopo la laurea, e poi la società VIP transfer, un marchio di noleggio auto di lusso con conducente. Grazie a questa società e al fatto di aver puntato sul mercato di pregio, Salvo viene per la prima volta a contatto con il settore del turismo, rendendosi conto che esisteva una nicchia libera a Catania in quel momento, nei primi anni 2000, su cui sarebbe stato interessante fare un investimento. Mancava, cioè, una via di mezzo tra l’albergo di lusso e quello con servizi scadenti, mancava l’offerta di hotel tre stelle sul modello europeo. Nello stesso quartiere dove si trovava uno dei garage, Salvo aveva “puntato” da tempo un casolare semiabbandonato con uno spazio esterno, dove abusivamente i residenti del posto parcheggiavano le loro auto. L’immobile era di proprietà della Tavola Valdese che ne utilizzava soltanto una stanza per organizzare un corso di formazione e diversi costruttori catanesi avevano provato a rilevarlo senza successo. Salvo, con la tenacia che lo contraddistingue, si reca a Torino almeno sei volte per incontrare i diversi organi decisionali della Tavola Valdese, comprendere pian piano le varie ragioni per cui rigettavano le sue istanze per gestire quell’immobile e “parlando con ognuno di loro, piano piano ho trovato una motivazione a ciascuno per cui il progetto poteva avere senso”.La Tavola Valdese infine acconsente a cedere il bene a Salvo a fronte di un canone, Salvo chiede un prestito per la ristrutturazione dell’immobile, che riesce a far pagare alla Tavola Valdese scomputandolo dal canone, ma assicurando per tutta la durata di quest’operazione una quota che avrebbe permesso loro di affittare una stanza altrove per organizzare in sicurezza il corso di formazione. L’immobile diventa il San Max Hotel, l’hotel che Salvo gestisce ancora oggi.
Nel corso della sua vita Salvo gestisce contemporaneamente sempre più attività imprenditoriali molto diverse l’una dall’altra per tipologia. Non si fa mancare neanche l’esperienza di gestione di uno stabilimento balneare e di una discoteca, dove impara anche qui una lezione importante: quella di fuggire a gambe levate quando si intravedono persone o dinamiche malavitose, perché sono “come una goccia di olio da motore che riesce a contaminare in un attimo una tanica da 20 litri d’acqua”.
Nel racconto di Salvo ogni esperienza imprenditoriale è direttamente legata ad un’altra, la precedete ha creato i presupposti e la base esperienziale per la successiva, e sono il più delle volte presupposti basati sulle relazioni. Salvo definisce le sue esperienze come una serie di strumenti a sua disposizione: “L’imprenditore è come un libro bianco in cui man mano le pagine in parte le scrivi con quello che studi e in parte con quello che vivi, il risultato è la sintesi di come tu hai capito delle cose”.
Sul finire degli studi universitari Salvo fa una tesi dal titolo “il terziario avanzato come opportunità per la nuova impresa giovanile”, ciò che aveva capito e lo incuriosiva è che “stavano cominciando a fiorire delle imprese in cui quattro ingegneri si potevano mettere d’accordo con qualcuno e fare una società senza troppe barriere all’entrata. Per iniziare quel tipo di impresa embrionale bastavano quattro ragazzi bravi, che sanno fare una cosa, quattro computer, una stanza”. Da lì nasce l’esperienza della società che installava chioschi multimediali nelle postazioni ad alto traffico (descritte sopra) e l’interesse di Salvo per il digitale. Anni dopo Salvo fa un’esperienza in Confcommercio e da quella prospettiva riesce a intravvedere una nuova possibilità di relazione. In quel periodo riallaccia i rapporti con Emanuele Spampinato, carissimo amico di lunga data, che nel frattempo presiedeva un consorzio di imprese, oggi EtnaHi Tech (EHT). I due amici si confrontano spesso, Salvo convince Emanuele a riavvicinarsi al mondo dell’associazionismo ed entrambi osservano che “la rappresentatività del digitale in Italia si fermava a Roma e che quindi questa poteva essere una grande occasione: avere in Confcommercio un riferimento siciliano di imprese del digitale”.
Il valore aggiunto di un consorzio stabile d’impresa: EHT
Quando dieci anni fa Salvo si è unito al team di EHT, il consorzio viveva spesso rapporti interni di conflittualità, non era chiaro alla maggior parte dei membri quale fosse il reale valore nel consorziarsi. Molti imprenditori si avvicinavano al consorzio con un atteggiamento da “prenditori” – come li chiama Salvo – cioè, con l’obiettivo di sfruttare il più possibile la situazione piuttosto che di lavorare insieme. Alla domanda “cosa è cambiato nel consorzio dopo il tuo arrivo?”, Salvo risponde di getto: “ho lavorato duramente insieme ad Emanuele per selezionare in base alla qualità e allo spessore umano le persone che man mano si sono avvicinate a noi. Credo che il mio apporto principale sia stato riconoscere senza invidia (che in Sicilia non è banale) le capacità eccezionali di Emanuele, mettere a sistema la mia esperienza puntando tutto sulla sua leadership, come centravanti, e di creare il gruppo di difensori attorno a lui che gli ha dato la possibilità di esprimersi al massimo e quindi arrivare il più lontano possibile”. Il merito di questo è da attribuirsi ancora una volta alla sensibilità ed alla capacità di Salvo di leggere la situazione e di intravedere la strada per uscire dall’empasse. Il consorzio godeva della guida di una persona brillante e capace di vedere lontano, Emanuele, che aveva obiettivi di lunga durata; Salvo è riuscito poco alla volta a favorire le condizioni ideali di un gruppo affiatato e determinato affinché si potessero superare gli ostacoli che si frapponevano tra l’obiettivo e la situazione di fatto. Attraendo imprenditori di fiducia è riuscito a creare un nucleo di società che hanno creato un cinturone di efficienza. Anche questa stabilità ha permesso poi al consorzio negli ultimi tre anni (dal 2020 in poi) di accreditarsi a livello nazionale, di arrivare a partecipare ad appalti di livello nazionale, ad entrare nei principali circuiti dove ci sono anche le grandi aziende.
Salvo lo definisce un break-even, cioè un momento esatto nel tempo in cui il consorzio ha cominciato ad ottenere queste certificazioni e queste abilitazioni capaci di farlo entrare nella serie A delle aziende italiane nei lavori pubblici. Un momento in cui da lì in poi improvvisamente non si è più fatta fatica a trovare i soci, ma al contrario, il consorzio è diventato un soggetto attrattore per molte PMI che hanno visto un’opportunità enorme per il loro business.
Questo momento ha segnato anche una svolta culturale, si è compreso finalmente il ruolo del consorzio, che opera come un’antenna che prende lavori importanti e li ridistribuisce alle sue consorziate, e lo fa non con i classici contratti di subappalto, spesso malpagati, ma con una logica di win-to-win per tutti.
Gli ingredienti magici di questa trasformazione sono stati la lungimiranza e la tenacia, “crederci a tutti i costi e serrare i denti nei momenti di difficoltà”, utili a superare questa lunga fase di gestazione. Il cambio di passo culturale è stato forse il più complesso da compiere. Si è trattato di far capire il concetto di consorzio stabile ed il suo valore aggiunto, non solo alle aziende, ma anche alle istituzioni pubbliche e finanziarie. Salvo racconta che nel dialogo con le banche, abituate alle linee di credito basate sul classico ciclo produttivo delle aziende, parlare di consorzio stabile era come parlare due lingue diverse. Le banche non avevano ancora gli strumenti culturali per leggere nuovi modelli di impresa, né gli strumenti finanziari adatti a supportarle, tant’è che ad un certo punto EHT ha pensato anche di diventare essa stessa l’ente finanziatore per le proprie consorziate, una banca di filiera per una filiera che conosce molto bene. Poi pian piano, nel corso degli ultimi tre anni, da un lato la cultura aziendale e finanziaria italiana si è modificata, e dall’altro lato, EHT è passato da 30 a 71 soci e da 500.000 a circa 3 milioni di euro di capitale.
Salvo con Emanuele, Rosaria, Dario, Claudio, Daniel e molti altre/i della famiglia e della squadra di EHT
Cosa vuol dire “privato di interesse pubblico”?
L’impatto che Salvo riporta non sta’ solo nei numeri, non è solo un risultato economico. Sono anche gli effetti che tutto questo lavoro, tutte queste relazioni generano nel territorio.
Innanzitutto, la crescita della competenza. Salvo definisce il consorzio come “un generatore e un trasmettitore di competenze di altissimo livello, in cui trasciniamo tutta la nostra filiera. Nel momento in cui assumiamo grandi appalti che prevedono tutta una serie di attività, competenze e certificazioni, il nostro ruolo è coinvolgere a cascata tutte le imprese che abbiano le competenze necessarie, supportare l’organizzazione di tutte le attività e la formazione nella trasmissione di queste competenze.”
In secondo luogo, il consorzio stesso ha supportato la nascita di start up e poi PMI che si sono aggregate, Salvo ed Emanuele hanno invitato i primi collaboratori ad aprire attività partecipate anche da loro stessi in prima persona “per portarli per mano a fare impresa”. Di conseguenza c’è stato un effetto di stimolo, supporto e imitazione da parte di tutti coloro che hanno ruotato intorno e dentro al consorzio. Salvo ammette che ad oggi, EHT non esercita ancora un vero e proprio effetto magnete sul territorio, e questo lo riconduce ad una carente capacità di divulgazione delle attività del consorzio, probabilmente anche dettata dall’esigenza a non esporsi troppo e a non rimanere vittime di sabotaggi e ostacoli (che nelle regioni del sud possono essere spesso un ostacolo, come dicevamo inizialmente).
In terzo luogo, il consorzio ha divulgato un modello di impresa sana, che paga gli stipendi correttamente, che fa gli inquadramenti secondo la normativa, un modello di welfare aziendale e sistemi imprenditoriali sani, in cui i primi a essere rispettati, valorizzati e instradati nella legalità sono proprio i lavoratori, perché l’azienda necessita proprio di questo per poter sopravvivere. È questo l’esempio che il consorzio vuole dare al fine più alto di creare una nuova classe dirigente ed una classe di lavoratori consapevoli, istruiti, ben pagati, abituati anche alla normalità dei rapporti e delle procedure aziendali.
Per Salvo l’interesse pubblico è anche la capacità di attrarre investimenti sul territorio per finanziare grandi manufatti, infrastrutture – come ci si augura sarà il futuro Harmonic Innovation Hub da realizzarsi nella zona industriale di Catania – tutti fattori di attrazione per le professionalità che costituiranno la futura classe di dirigenti imprenditoriali non solo nella provincia di Catania, ma più in generale in Sicilia. “Il tema fondamentale, la grande sfida è creare le motivazioni forti per cui la gente brava possa avere piacere di lavorare qui, perché sul piacere di vivere qui non c’è dubbio”. Salvo tocca più volte il tema della fuga dei cervelli, dello spopolamento del sud che vede gran parte dei giovani laureati più brillanti emigrare ancora oggi al nord d’Italia o all’estero. E non ha dubbi che la sua terra sia già un luogo seduttivo “il cielo terso quasi tutti i giorni, il mare stupendo, l’Etna, ma poi c’è il però, però là che faccio, però la produzione è disorganizzata… tutti questi «però» vanno presi uno per uno e, dove noi possiamo, abbiamo il dovere di smontarli e trasformarli in «inoltre». C’è il mare, inoltre c’è un bellissimo lavoro!”
L’amore e l’attaccamento alla propria terra è un elemento che ricorre, Salvo non vuole “consegnare le chiavi della sua isola”, di quello che lui definisce un paradiso terrestre. Salvo vede il mare se si affaccia dalle finestre di casa sua e da quelle di EHT, e guarda l’Etna da quelle del suo albergo, e “se questo paradiso non è del tutto efficiente dipende anche da noi; andarsene altrove non è la soluzione, bisogna combattere per il posto in cui si è nati, impegnarsi a cambiare la narrazione sul sud, sempre visto come colonia, come ostaggio”.
Per Salvo è come una catena, “creare cose belle e farle funzionare bene, essere da esempio, trasmettere la cultura di una sana imprenditoria, favorire lo sviluppo di un certo tipo di classe dirigente al sud sono i presupposti per far vivere bene le persone. E poi i figli seguiranno le orme dei genitori, si faranno sempre più imprese, e tutto il resto si sana. Perché io credo che il benessere e la cultura siano l’unguento personale della ferita dei territori”. E in questa catena causa-effetto, si augura che una classe imprenditoriale istruita e sana necessariamente esprimerà una classe politica degna e da cui aspettarsi molto.
Salvo crede che con l’atteggiamento del buon esempio si possa cambiare quella narrazione negativa che ancora oggi si abbatte sulla Sicilia e sul Sud d’Italia, e che sia necessario creare condizioni che si radicano talmente tanto nel territorio da cambiarne per sempre la vocazione, cioè trasformare la Sicilia in un posto in cui si può fare impresa. “Siamo in un momento storico e una congiuntura in cui possiamo fare progettazioni importanti. Il punto è che lo dobbiamo fare, lo dobbiamo al nostro territorio, lo dobbiamo a quello che siamo, lo dobbiamo alle future generazioni. Diventa un dovere piantare questi semi, e stavolta non semi di piantine delicate che volano via al primo colpo di vento, ma creare una pineta, un bosco secolare”
Lezioni apprese durante la pandemia da Covid-19
Gli effetti della pandemia da Covid-19 hanno investito moltissimi imprenditori, alcuni dei quali non sono sopravvissuti. Salvo ha vissuto questa peculiare situazione di emergenza sotto la duplice veste di operatore nel settore turistico (uno dei più penalizzati dalla pandemia) e di vertice del consorzio EHT. Quello che racconta racchiude un tesoretto di lezioni che, anche se apprese in quella peculiare situazione, possono essere interpretate come un atteggiamento più in generale.
Piccoli e grandi escamotage
Da un lato c’è il “Salvo albergatore”, la cui attività viaggia su una linea di costi, tra fissi e variabili, di circa 20-25.000 € di spese al mese, e che tra il lockdown e le successive limitazioni alla mobilità ha portato a circa un anno e mezzo di chiusura e quindi di mancati incassi. In quella fase Salvo ha dovuto “affrontare il suo demone” (come lo ha chiamato lui), e cioè arrivare a fine mese con tutta una serie di costi e nessun ricavo, in un panorama in cui tutti navigavamo a vista senza sapere quando le cose sarebbero tornate alla normalità che conoscevamo. Salvo si è rimboccato le maniche e ha fatto appello a tutta la sua inventiva per trovare tutti gli escamotage per trasformare laddove possibile i costi fissi in variabili affinché si riducessero al diminuire dell’afflusso della clientela: cambiare il modello di ricezione dei clienti automatizzando tutti gli accessi all’albergo, in modo tale che anche una sola persona (Salvo) potesse accogliere un cliente, aprirgli e dargli le chiavi, far coincidere le procedure di check in e di check out, gestire il sistema di pulizie a camera e non al mese. Grazie alla sua affidabilità come “imprenditore sano” è riuscito ad intercettare i bonus una tantum e gli aiuti al fatturato statali, ad accede a prestiti bancari, a mettere tutti i dipendenti in cassa integrazione. Alcuni di questi piccoli e grandi escamotage Salvo li ha mantenuti anche nella gestione attuale del suo albergo, ma soprattutto quello che ha mantenuto, quando la situazione di eccezionalità è passata, è stata la consapevolezza di essere in grado di affrontare anche le situazioni più incredibili, “quello che è cambiato è stato il mio animo, nel senso che io ora mi sento diverso, ora che ho affrontato il mio demone”.
La diversificazione come elemento fondamentale per fare l’imprenditore
Se da una parte il Salvo albergatore lottava per sopravvivere a questa bufera, dall’altra parte “il Salvo di EHT” doveva far fronte insieme ai suoi colleghi alla richiesta improvvisa e repentina di servizi digitali a tutti i livelli, e quindi ad un enorme e rapido ampliamento del mercato e al boom delle imprese digitali. Da qui la prova del nove di un insegnamento che Salvo aveva custodito gelosamente fin dagli studi universitari: la diversificazione è fondamentale per fare l’imprenditore! Diversificare per Salvo ha un’accezione amplia. Non significa soltanto essere in grado di fare impresa nei settori più diversificati o diversificare la produzione, i servizi, ecc; al di là dei significati accademici, diversificare comporta anche l’apertura alle possibilità, alla scoperta di nuove occasioni, di nuove persone.Essere aperti, curiosi è un modo di porsi rispetto alla vita, un modo per capire meglio quali sono le nostre reali inclinazioni e interessi, i nostri talenti. Immergersi in diverse esperienze significa accumulare saper fare, rafforzare la capacità critica nell’interpretare le situazioni. Tutto quello che Salvo ha imparato nelle sue diverse esperienze imprenditoriali lo fa oggi l’uomo capace di attrarre le persone giuste intorno ad un’idea imprenditoriale, capace di negoziare con altri imprenditori e istituti bancari, capace di intessere relazioni a tutti i livelli e di trovare le soluzioni per sopravvivere anche alle più estreme delle condizioni.
Convincere due generazioni alla prospettiva dell’attività imprenditoriale
Lungo tutto il percorso di vita di Salvo e dalle parole che usa per il suo racconto, traspare un’innata capacità a sorprendersi, una continua curiosità per la scoperta, un’attitudine a comprendere le persone e le situazioni e a coglierne le opportunità, a trovare la via d’uscita nelle situazioni complesse, un atteggiamento possibilista, capace cioè di ampliare lo spazio delle possibilità. E quando gli chiedo se tutto questo può essere insegnato e trasferito ai giovani, Salvo risponde che è necessario un cambio di mentalità.
Salvo è convinto di una cosa: “chi dice che il Veneto ha vocazione imprenditoriale e la Sicilia no, sta dicendo una grande fesseria. In Veneto c’è stato un tipo di modello economico che si è impiantato ad un certo punto della storia e che si è giustamente moltiplicato per i presupposti che esistevano in quel contesto. In quel momento è stata una cosa molto bella, ha sposato l’inclinazione naturale delle persone. Ma io sono convinto che una cosa del genere la potremmo tranquillamente avere in Sicilia; se tu mi chiedi se può essere insegnata io sono convinto di sì, semplicemente che bisogna crederci.” L’opinione di Salvo è che questo sia il momento storico giusto per questo cambiamento, in quanto, da un lato, si è scardinata l’idea del lavoro unico per tutta la vita ed è cambiata anche la prospettiva del lavoro dipendente, che non è più tanto stabile e statico come in passato, e, dall’altro lato, si può ancora contare su una piccola liquidità di una classe media (quella dei genitori di oggi) utile a supportare un avvio di impresa. Ed è proprio per questo che, secondo Salvo, prima di arrivare ai giovani bisogna partire dai genitori.
Il cambio di paradigma a cui fa riferimento è l’abbandono di una logica di accumulo di beni per garantire un futuro ai propri figli nell’attesa che prendano un impiego pubblico, Salvo dice: “Io direi a ogni genitore che compra la macchina a suo figlio diciottenne: prendi quegli stessi soldi e compragli la quota di un’attività, oppure mettilo nelle condizioni di fare una piccola impresa con quei soldi.” Far capire, non solo alla generazione dei giovani, ma anche a quella precedente, che la carriera imprenditoriale è “un modo come un altro di affrontare la questione lavorativa, anzi è molto più avvincente di altre carriere”. Salvo auspica che siano proprio i genitori ad “aiutare i figli a fare impresa, quindi cultura d’impresa, a sedurli a un mondo che può dargli mille opportunità in più rispetto a quelle che potrebbe dargli il lavoro dipendente”.
Forse è quello che inconsapevolmente ha fatto il padre di Salvo, quando gli ha messo a disposizione la prima paghetta annuale, anziché settimanale, permettendogli di decidere come investirla. L’incomprensione tra padre e figlio, quando Salvo non ha accettato subito dopo la laurea una carriera al nord d’Italia e più in là quando ha rifiutato la certezza di un incarico all’università, si è sanata grazie alla fiducia e al rispetto di un padre verso le scelte del figlio, un padre che seppure non del tutto convinto di queste scelte ha avuto l’intelligenza di appoggiarle e supportarle nei momenti di difficoltà, per pensare infine “eppure quest’impresa, tutto sommato qualcosa ha portato a mio figlio.”
Per la generazione precedente alla nostra si tratta di un salto sociale e culturale, il “posto fisso” era il punto di arrivo. Siamo negli anni ’90 e molti genitori (compresi i miei), soprattutto nel sud d’Italia, hanno indirizzato i propri figli alla scelta dell’università pensando ai concorsi e ai posti pubblici ai quali avrebbero potuto accedere. Ricordo ancora che anche a casa mia non si faceva altro che dire che giurisprudenza era probabilmente la scelta più appropriata perché era la laurea che dava accesso ad un ventaglio più ampio di concorsi, oltre che alla libera professione. Salvo insiste che “il genitore si deve convincere che, al di là del fatto che lui veda o immagini un futuro da lavoratore dipendente per il proprio figlio, se invece capita il figlio, che grazie ad un corso, o a una serie di stimoli, a una serie di attività si innamora di fare l’impresa, il genitore va instradato, perché spesso i principali detrattori di questo tipo di innamoramento sono i genitori. Io sono convinto che molti ragazzi sono sensibili a questi temi, che però poi impattano male a casa. Nella maggior parte dei casi soprattutto al sud”. E addirittura propone corsi sull’imprenditoria e sull’autoimprenditorialità nelle scuole superiori e all’università, in cui in un paio di incontri vengano coinvolti i genitori.
Speriamo che l’esempio virtuoso che emerge dalla storia di Salvo, possa dimostrare che “ci si può anche fare da zero”, che fare impresa, soprattutto nel digitale, è possibile senza neanche avere enormi rischi, che esistono agevolazioni e protezioni di vario genere, possa essere uno stimolo per le generazioni più giovani.
Infine, chiedo a Salvo quali sono i suoi progetti futuri, oltre all’imminente fusione con l’Harmonic Innovation Group di Caraffa di Catanzaro e alla creazione di un hub regionale nella zona industriale di Catania. Salvo ha già in testa la sua prossima avventura imprenditoriale; ha già una nuova intuizione, si apre a nuove sfide e a nuove possibilità. Sta’ già monitorando alcuni terreni da dedicare ad una piccola attività agricola e ricettiva insieme, forse un agriturismo il tutto condito ovviamente da alta tecnologia. In questo modo intende diversificare ulteriormente le sue attività, per completare il cerchio, perché ritiene che il turismo, l’agricoltura e l’intelligenza delle persone siano i tre assi portanti della sua terra, la Sicilia!
Idee da ricordare
La capacità di intravedere le possibilità, le nicchie di opportunità, i punti forti delle persone e dei contesti sono alla base delle buone idee imprenditoriali
Investire nelle relazioni, nella creazione di fiducia reciproca e nella restituzione sono gli ingredienti che facilitano il fare impresa in contesti complessi
Cambiare la narrazione negativa del fare impresa al sud attraverso l’attitudine del buon esempio
Il valore del consorzio stabile: una logica di win-to-win per tutti
Essere aperti, curiosi è un modo di porsi rispetto alla vita, un modo per capire meglio quali sono le nostre reali inclinazioni e interessi, i nostri talenti. Immergersi in diverse esperienze significa accumulare saper fare, rafforzare la capacità critica nell’interpretare le situazioni.
Occasioni di Networking
Salvo è alla ricerca di partner con cui quali sviluppare un approccio diverso alla formazione. Una formazione che renda il mondo dell’impresa vicino ai ragazzi e alle famiglie, un format innovativo in cui sottolineare che la chiave per dare una possibilità al sud è un’impresa sana che guarda alla ricostruzione del tessuto sociale. Per contatti, rivolgetevi pure alla redazione.
** Questo articolo si basa sulle interviste a Salvo Sichili che si sono svolte il 7 ed il 15 dicembre 2023.
Ha collaborato alle interviste Paola Cascinelli, direttrice della sede italiana di Arcadia University.
[1] Emanuele Spampinato, amico di Salvo e oggi presidente di EHT.