25 Lug Venti del Sud n.18 – Giugno 2024
LA “RIVOLUZIONE GENTILE” VERSO UN CONSUMO ETICO E SOSTENIBILE: LA STORIA DI BIOSMURRA
di Federica Saggiomo*
Intervista a Cristiana Smurra, BioSmurra**
Dopo una laurea in Giurisprudenza, Cristiana Smurra ha preso le redini dell’azienda agricola del padre insieme alla sorella Cristina. Da più di vent’anni BioSmurra si è posta l’obiettivo di cambiare la propria produzione, passando da un sistema integrato ad uno totalmente biologico. Il cambio di rotta abbraccia anche altri rami dell’impresa: ampie garanzie e tutela dei lavoratori, riutilizzo degli scarti della produzione, prediligere un sistema che punti alla qualità del prodotto piuttosto che alla quantità. Il messaggio che le sorelle Smurra vogliono trasmettere con il loro operato è chiaro: è inutile accumulare denaro distruggendo l’ambiente. Bisogna invece dare avvio ad una “rivoluzione gentile” verso un consumo etico e sostenibile.
Negli ultimi anni è sempre più diffusa l’attitudine dei consumatori ad assumere comportamenti più consapevoli nel consumo. Una recente ricerca di OpenText mette in evidenza quanto sia cambiata, dopo la pandemia, l’attenzione dei consumatori nell’impatto dei propri acquisti. Circa il 93% degli italiani dichiara “di voler acquistare preferibilmente da aziende che dimostrano di aver messo in atto strategie di approvvigionamento etico”. Di questi, “oltre la metà (56%) degli italiani non si rivolgerebbe nuovamente a brand accusati di lavorare con fornitori non etici. Cercherebbero, invece, marchi diversi impegnati con fornitori responsabili.”
Atteggiamento che si ripercuote anche nell’ambito alimentare, in netto contrasto con la tendenza ad associare alimenti visivamente perfetti all’alta qualità.
Prende sempre più piede, dunque, il concetto di consumo etico e consapevole, un approccio in grado di garantire la salvaguardia dell’ambiente, il rispetto per le materie prime e quello dei lavoratori. Nell’ambito della sicurezza alimentare, seguire la stagionalità degli alimenti, incrementare la vendita e l’acquisto di prodotti a chilometro zero o provenienti da realtà che sostengono la tutela di coloro che si occupano della loro raccolta e distribuzione, sono ormai diventati comportamenti condivisi.
Alla luce di quanto appena detto, diventa fondamentale affidarsi ad aziende che fanno di questi valori i capisaldi del loro lavoro.
Oggi, il Sud Italia detiene ancora il primato nella produzione agroalimentare che viene poi distribuito lungo le filiere nazionali. Tra i numerosi prodotti, vi sono particolari eccellenze che vengono coltivate in luoghi specifici del nostro Paese. Questo è il caso dei mandarini e delle clementine calabresi, regione in cui infatti si concentra circa un quarto delle coltivazioni nazionali.
Tra le valli del Coriglianeto e del Colagnati, le sorelle Marina e Cristiana Smurra, hanno ereditato un terreno che oggi conta circa nove ettari. La loro storia è simbolo di innovazione legata alla terra, è sinonimo della voglia di riscatto di un territorio con un forte potenziale inespresso. È la rappresentazione di quanto, con i giusti strumenti e conoscenze, il Sud possa emergere.
Sin dagli esordi nel 2004, le imprenditrici, non hanno mai avuto dubbi su quale dovesse essere il modello produttivo da adottare. La loro personale sensibilità rispetto al tema del consumo etico le ha spinte a creare una nuova realtà. In un mondo fortemente caratterizzato da presenza maschile e da processi produttivi poco sostenibili, infatti, le sorelle Smurra hanno immediatamente abbracciato la strada non sempre semplice di coltivare biologico.
Come tutta la produzione locale, anche il loro terreno era coltivato con sostanze chimiche per garantire alti livelli di produzione e prodotti finali accettati dalle grandi catene di distribuzione. Questo non ha impedito alla neonata BioSmurra di portare uno spiraglio di novità e innovazione. Coltivare in maniera totalmente biologica, fare impresa al femminile, garantire condizioni e contratti giusti per lavoratori e braccianti, sono queste le caratteristiche che rendono eccezionale quest’azienda nel territorio calabro.
La tenacia delle proprietarie le ha permesso di superare i cali nella produzione riscontrati nei primi anni e, parallelamente, ha avviato anche un processo di riconoscimento all’interno della filiera di distribuzione. Non solo. Marina e Cristiana Smurra sono state in grado di convertire un momento di crisi dovuto al cambiamento climatico in una innovazione vera e propria: a causa di una produzione che non sarebbe stata in grado di affrontare il trasporto, hanno creato un succo 100% frutta per evitare la perdita di materia prima ancora qualitativamente ottima.
Ciò che le sorelle Smurra sono state in grado di costruire da circa vent’anni, però, non si limita al prodotto. Sono state infatti promotrici della creazione di una rete sociale basata sul rispetto reciproco, sull’etica e sul modo corretto di interfacciarsi all’altro.
Fare impresa non è facile, soprattutto nel meridione essendo donna. Per questo motivo è necessario dare risonanza a storie come questa che rappresentano un messaggio positivo e che merita di essere diffuso e conosciuto.
Consumo critico, etico e responsabile. Da cosa nasce questa scelta? Cosa vi ha portato qui?
BioSmurra è la prosecuzione e al contempo l’evoluzione di una piccola azienda famigliare. Nasce innanzitutto dal desiderio che il cognome di nostro padre, e di conseguenza nostro, permanesse nel tempo e nel suo ricordo. Cambia però volto, avendo come duplice esigenza quella di invertire il tipo di produzione da integrata a biologica e quella di provare a commercializzare i nostri prodotti fuori dalla Calabria. Per raggiungere tale scopo, ci siamo dunque attivate, tentando di collocarli in un primo momento nelle altre Regioni italiane del Centro-Nord e successivamente in altri Paesi Europei.
Anche in passato, ci tengo a precisare, la coltivazione del campo non è stata mai improntata ad un uso spinto della chimica e dei pesticidi, ma si era invece optato per una via di mezzo. Quando a causa di una malattia nostro padre è venuto a mancare prematuramente e senza alcun preavviso, è stato del tutto automatico per noi avviare la conversione del nostro agrumeto al sistema del biologico. Ciò per due ragioni principali.
Innanzitutto, perché volevamo iniziare a produrre in modo estremamente sano ed etico, al fine di ottenere frutti che fossero genuini per noi, per mio nipote Lorenzo (figlio di mia sorella), per i nostri consumatori sempre più attenti a queste tematiche e, indirettamente, per l’ambiente.
C’era poi un’esigenza pratica. Quando abbiamo ereditato questo agrumeto (5 ettari nella Valle del Colagnati nell’area urbana di Rossano) oltre vent’anni fa, abbiamo avuto non poche difficoltà nel riconvertire la produzione, soprattutto in termini di quantità. A questa si è aggiunta la grave crisi del mercato ortofrutticolo che in quel periodo aveva spinto diversi produttori a trasformarsi anche in commercianti. Ciò ha portato al blocco dei prezzi, volutamente tenuti molto bassi negli anni successivi. Si è passati, per quanto ci riguarda, a dover vendere i nostri frutti (le nostre primizie in particolare), da 83 centesimi, a 25-30 centesimi al kg.
In quegli anni, di fatto, giocando su quella crisi, si è creata una sorta di cartello. A fronte dei prezzi di vendita bloccati a ribasso, le spese necessarie per produrre continuavano ad aumentare. Ciò ha causato un fortissimo danno a tutta l’economia locale. Uscire da quel sistema (basato sulla produzione tradizionale) dopo 8 anni per noi ha significato la salvezza. Il rischio, diversamente, era quello di dover svendere la nostra terra, che per noi rappresenta da sempre le nostre radici e il nostro legame con i ricordi più belli legati alla nostra famiglia.
Quando le ultime speranze di trovare soluzioni accettabili si erano quasi azzerate, abbiamo intercettato i Gruppi di Acquisto Solidali (GAS). Abbiamo compreso che esisteva un mondo che si stava sviluppando e siamo riuscite a individuarlo, presentandoci e facendoci conoscere.
Adesso viviamo di agricoltura, e creiamo lavoro anche grazie al supporto di altre realtà che fanno parte del nostro circuito.
Dopo lunghi anni di duri sacrifici, abbiamo acquistato un magazzino in una posizione strategica, che ci rende libere ed autonome. Abbiamo realizzato con gli scarti buoni, ossia con i calibri più piccoli o esteticamente imperfetti, un succo 100% frutta senza conservanti né zuccheri aggiunti. Stiamo diversificando realizzando su superfici adeguate impianti di pannelli solari. E continuiamo a lavorare per raggiungere la stabilità, valorizzando l’esistente e creando bellezza.
Questo non solo ci permette di sopravvivere, ma di farlo secondo i nostri valori.
Riteniamo che sia inutile accumulare denaro sfruttando e distruggendo il nostro contesto e chi vi opera. La sostenibilità economica per un’azienda è imprescindibile, ma l’obiettivo è creare una filiera sostenibile e corretta per tutti, secondo le nostre regole e non secondo la logica del profitto a tutti i costi.
Puntare sul biologico è stata una scelta coraggiosa. Quali difficoltà comporta questa scelta da un punto di vista economico e produttivo?
Nel passaggio al metodo del biologico, le nostre clementine hanno iniziato a presentare moltissime imperfezioni estetiche. Aspetto quest’ultimo che la grande distribuzione non perdona, dato che il prodotto venduto nei loro canali dev’essere perfetto, nonostante il gusto non venga assolutamente intaccato da tali difetti, esaltato al contrario dall’assenza di agenti chimici.
Allo stesso tempo, la conversione ha determinato un drastico calo in termini di quantità. Questi sono gli aspetti principali che abbiamo riscontrato sin dal principio e che avrebbero potuto essere determinanti nel fare un passo indietro e rivedere la nostra scelta.
Al contempo, c’era però la volontà di invertire la rotta e dare un segnale chiaro. Suddetta volontà, era molto più forte rispetto alle difficoltà riscontrate.
Nonostante fosse penalizzante da tutti i punti di vista (bassa quantità, imperfezione dei frutti e prezzo), questa decisione è risultata vincente. Con il passare del tempo siamo riuscite ad individuare delle piccole nicchie di mercato (GAS, cooperative e consorzi del biologico) che hanno scelto di sostenere il nostro percorso aiutandoci a resistere.
Come fare ad arrivare, noi piccolissime, a questi circuiti che erano in tutta Italia e poi successivamente in Europa?
Abbiamo iniziato creando e costruendo le logistiche in modo del tutto intuitivo e senza alcuna formazione pregressa. In un primo momento abbiamo affittato una motrice che conteneva fino a 16 bancali (per un equivalente di circa 1000 kg di prodotto a pallet). Questo primo carico, ridotto rispetto alla capienza del mezzo, quindi particolarmente oneroso se paragonato ai prezzi di mercato, è partito dalla Calabria con circa 6 bancali, ed è arrivato nei luoghi prestabiliti in tutte le Regioni d’Italia, consegnando strada facendo le cassette ordinate alle famiglie riunite in gruppi.
Ripensando alla nostra storia, non è stato né semplice, né scontato arrivare fin qui essendo partite quasi da zero, senza alcuna competenza in materia, ma mosse da tanta passione e determinazione.
Ci siamo concentrate su un tipo di produzione che non puntasse alla quantità e all’aspetto esteriore. Abbiamo educato i consumatori al fatto che, pur essendo la buccia ancora verde o imperfetta, le nostre clementine già da metà Ottobre possono essere gustate avendo un buon grado zuccherino.
Abbiamo affrontato molti ostacoli e siamo andate oltre i consigli contrari che venivano dai riferimenti di nostro padre, che erano molto scettici rispetto alla nostra scelta. Ma confrontandoci tra noi, scontrandoci, selezionando le persone da cui lasciarci affiancare, sbagliando e cadendo più volte, siamo riuscite ad andare avanti, costruendo rapporti più solidi, improntati sulla reciproca fiducia.
Donne e imprenditrici, un binomio che non sempre corre alla stessa velocità. In un ambito così fortemente caratterizzato dalla presenza maschile, vi è mai capitato di non vedere riconosciuto il vostro ruolo?
Si è capitato. A me personalmente è accaduto soprattutto all’inizio della gestione dell’azienda, con gli operai, ma soprattutto con le compagne degli operai, che stagionalmente lavoravano a loro volta con noi. Nella fase della raccolta, ad esempio, anche se dicevo qualcosa in modo molto educato, si percepiva una netta “levata di scudi” soprattutto da parte loro, le quali facevano maggiore resistenza perché non accettavano che io, non solo donna ma anche giovane, potessi dare indicazioni ai loro uomini. Faticavano non poco, dimostrandomelo, a riconoscere la mia figura in questo ruolo “apicale”.
In Calabria ci sono diverse imprenditrici molto capaci, che operano nel comparto agricolo. Spesso, però, le donne sono state anche usate, perché ci sono dei benefici economici che vengono riconosciuti al genere e quindi la loro presenza serve semplicemente ad ottenere le agevolazioni, senza che ciò conferisca loro voce in capitolo.
Quando alle donne si danno ruoli apicali solo sulla carta, sono loro stesse che abdicano al loro potenziale e alla loro dignità, perché nei fatti si lasciano estremamente condizionare dalla volontà di uomini, che dettano la linea, mostrandosi pedine vuote incapaci di cambiare in meglio le cose.
Ritengo sia svilente tutto ciò, perché il valore delle donne viene messo in discussione insieme al concetto di merito. Io personalmente preferisco non rivestire alcun ruolo formale, ma incidere concretamente e liberamente secondo coscienza sulle cose che non mi vanno bene o che vorrei modificare. Un marcato maschilismo l’ho riscontrato anche in contesti differenti, dove il livello culturale dovrebbe portare a superare stereotipi e pregiudizi. Una donna pensante dà ancora fastidio a tanti (donne e uomini) checchè se ne dica, anche in contesti alternativi al sistema predominante.
Il vostro background di studi vi ha aiutate? Se sì, come?
A distanza di tanto tempo dico che, secondo me, ogni esperienza è utilissima. Io sono laureata in Giurisprudenza, mia sorella Marina in Economia e Commercio. Siamo complementari per approccio, metodo e carattere.
Penso che tutte le esperienze siano utili. Ogni cosa che viviamo ci porta a capire quello che ci piace fare. Per me, ad esempio, vivere nella natura con gli animali è la cosa che mi appassiona da sempre in assoluto. Dunque, non è assolutamente un peso fare quello che faccio, mi viene tutto molto naturale. Sono pratica, testarda e poco incline a subire “ingiustizie”. Non sento fatica nel fare, pensando. La sentirei seduta dietro una scrivania a gestire burocrazia che viene molto meglio a Marina che è più razionale, precisa e metodica di me.
Per le stesse ragioni, sono io che vado in magazzino lavorando al fianco della nostra preziosa squadra di collaboratori, gestisco gli ordini e le partenze, i rapporti con i consumatori, con le squadre di campagna. Che spingo e alzo sempre di più l’asta, sapendo che c’è insieme a me chi tiene il punto, per raggiungere obiettivi e quindi sogni comuni.
Un aspetto importante, è che anche in momenti critici, siamo sempre state in grado di riconoscere i problemi, metterci in discussione con onestà, ammettere i nostri limiti, fermarci e ripartire da lì.
A livello normativo, cosa fa l’Italia a supporto di questa realtà femminile?
Ci sono varie iniziative a riguardo, ma noi vogliamo farcela con le nostre esclusive forze. Non vogliamo ricevere fondi che possano vincolarci e spingerci a fare scelte poco sensate. Vogliamo essere responsabili delle nostre azioni. Misurare i nostri passi. Non ci serve a nulla avere agevolazioni, per comprare un trattore da centomila euro, se poi non passa tra gli alberi.
Ma la ragione fondamentale per cui non abbiamo voluto chiedere finanziamenti collegati a normative a favore è che significa prendere parte al gioco politico, e quindi essere costrette a scendere a compromessi talvolta non accettabili. Significherebbe dover imparare un linguaggio che a noi non piace imparare. Alcuni la fanno diventare una questione di favoritismi e non di diritti acquisiti per merito, in cui nulla viene concesso per nulla.
Facciamo per conto nostro e non dobbiamo dire grazie a nessuno. Non dobbiamo necessariamente farci piacere qualcuno che sulla carta non ci piace, perché ha un approccio completamente diverso dal nostro. In questi anni, quindi, sono state tante le scelte e le rinunce fatte in modo consapevole. Tanti i piccoli passi compiuti in modo più lento ma misurato. Non siamo interessate alla quantità. Alla fetta di mercato legato alla grande distribuzione. Vogliamo fare le cose per bene e gradualmente. Preferiamo continuare a lavorare gestendo il rapporto di fiducia direttamente con tutti i nostri interlocutori. Crescere ulteriormente significherebbe allontanarsi dal rapporto diretto. E proprio per mantenere questa linea, dobbiamo essere in grado di reggerci con le nostre gambe senza l’aiuto di politici e burocrati.
Vi siete sempre esposte in prima persona per difendere il vostro lavoro, come il contesto sociale ha reagito a questa innovazione? C’è qualcuno che è stato ispirato da questa scelta virtuosa?
Direi di sì, senza troppi dubbi! Non tutti, però, tendono a riconoscercelo. Ci sono aziende importanti che fanno fatica ad ammettere che una piccola realtà abbia avuto la forza di non lasciarsi fagocitare. Che abbia fissato il proprio prezzo, senza abbassare la testa. Che non abbia delegato le proprie sorti a coloro che sembravano l’unica opzione possibile. Ad esempio, noi, a mio avviso, abbiamo contribuito a far rialzare i prezzi sul mercato locale. Abbiamo invitato altri produttori a fare lo stesso. A non accettare l’elemosina dei 20 centesimi al kg. A ridare dignità ad un prodotto eccezionale. Molti per tale ragione ti riconoscono e ti apprezzano. Qualcuno invece meno. C’è tanta ammirazione e al contempo tanto fastidio.
Parliamo di benedizioni nascoste. Cosa si è rivelato inaspettatamente positivo seppur non inizialmente previsto? E cosa invece avevate previsto che non è andato come speravate?
Nella prima fase puntavamo a sopravvivere, a resistere. Nel momento in cui siamo riuscite a superare 8-9 anni difficilissimi, poi è stato un crescendo, fatto di tante piccole soddisfazioni e sorprese inaspettate. Ogni risultato conseguito è stato colto come una benedizione.
Abbiamo raggiunto una stabilità tale per cui oggi la banca, ad esempio, ti finanzia più del doppio di quanto viene chiesto, aspetto impensabile qualche anno fa.
Le benedizioni sono anche le persone che nel frattempo hanno iniziato a fare squadra con noi. Massimo, Antonio, Rita, Adele, Giuseppe, Tahir, Azhim, sono benedizioni. Non saranno perfetti, come d’altronde non lo siamo noi, però fanno parte a tutti gli effetti della nostra storia e dei risultati che stiamo ottenendo.
Si può parlare di benedizione nascosta anche quando, a seguito di un frutto particolarmente danneggiato esteriormente, a causa degli effetti del cambiamento climatico, abbiamo avuto l’opportunità di inventare il nostro succo 100% frutta, un prodotto innovativo, distribuito in canali molto interessanti. Questo, come già detto, permette di ridurre al minimo gli scarti della produzione, impiegando appunto i calibri più piccoli o danneggiati, sempre nell’ottica della circolarità che ci caratterizza. È una benedizione la rete dei produttori che ci supporta. Lo sono i nostri consumatori vecchi e nuovi, che parlano di noi promuovendoci.
Crea invece delusione la difficoltà, nonostante gli sforzi, di integrare collaboratori che provengono da altri Paesi, nonostante siano trattati con il massimo rispetto, nella legalità, in un’atmosfera serena e familiare. La diffidenza tra etnie diverse, la differenza culturale con il contesto ospitante e l’abitudine alla sopraffazione dovuta a storie personali complesse sembrano a volte ostacoli insormontabili che non consentono di realizzare in modo pieno e profondo questo passaggio.
Altro aspetto che a mio avviso può creare danni è la retorica e il finto buonismo misto ad ipocrisia che si respira in alcuni ambienti. Credo che la verità o, meglio, dire le cose per come sono, sia sempre meglio dei racconti rivisti ed edulcorati, soprattutto quando si toccano tematiche legate a fasce sensibili.
Cosa consigliereste a coloro che vogliono intraprendere il vostro stesso percorso verso una produzione più sostenibile?
Entrare oggi in questo circuito non è facile perché è saturo. O meglio, è un fenomeno dal grandissimo potenziale che ha avuto una forte battuta d’arresto, anche a causa della crisi in corso e dell’instabilità a livello globale. Fare impresa nel mondo dell’economia alternativa non risulta dunque scontato.
Il consiglio è quello di seguire sempre le proprie passioni mettendoci impegno, testa e anima. Bisogna insistere in modo onesto senza prendere scorciatoie.
E per le donne che fanno impresa, suggerisco di mantenersi veramente libere. Di non farsi mettere inutili stelle al petto, se non riescono a riconoscere le cause per cui è necessario esporsi, senza bisogno che altri le rivendichino.
Conclusione
Non c’è alcun dubbio che questa storia risulta interessante da molteplici punti di vista, ma tutti con una radice comune: la voglia di riscatto di un territorio che ha ancora tanto da offrire.
La caratteristica fondamentale dell’approccio dell’imprenditrice calabrese è la coerenza intrinseca in ogni aspetto delle attività dell’azienda. Dal rispetto per la terra, all’aver adottato un modello produttivo basato sulla qualità dei trattamenti e del prodotto finale. Nel rapporto con i dipendenti, basato sull’ascolto e la fiducia reciproca, ai quali viene garantito un contratto giusto e regolare. All’educazione offerta al cliente per apprezzare e acquistare prodotti gustosi e genuini al di là del mero aspetto estetico.
Infine, e non meno importante, il rispetto per i valori e le idee frutto di un’eredità familiare che le accompagna da sempre.
Emerge chiaramente dalle parole di Cristiana Smurra che la necessità di dare un segnale, il rifiuto di aderire ad un sistema di prezzi ribassati che le avrebbe fatte soccombere, sono stati la spinta che ha favorito il loro successo. Hanno dimostrato che cambiare è possibile.
L’esperienza imprenditoriale BioSmurra ha rappresentato anche una vittoria sociale in quanto l’esempio positivo ha dato modo alle aziende agricole vicine di imporsi per il rialzo dei prezzi.
Ha creato una rete solida all’interno e all’esterno del territorio in cui la cooperazione è l’elemento fondamentale.
Inoltre, è l’esempio di una attività che non si è mai piegata al gioco politico, ai favoritismi e le proprietarie, sempre per la coerenza che le caratterizza, non hanno mai accettato decisioni che non fossero completamente in linea con i loro ideali.
BioSmurra ha dato avvio ad un processo di rivoluzione gentile, una clementina alla volta.
Idee da ricordare
Il Sud Italia ha un grande potenziale imprenditoriale ancora inespresso.
Le imprenditrici che agiscono con passione e determinazione hanno la forza di ribaltare le sorti della loro azienda.
Essere un buon esempio è lo sprone per avviare un processo di cambiamento.
Bisogna avere il coraggio di andare anche contro i pareri avversi in virtù dei propri ideali.
Il rispetto per i lavoratori deve essere la base di qualunque attività imprenditoriale.
La circolarità della produzione porta ad aumentare lo spirito critico dei consumatori.
Occasioni di Networking
Quanto emerso dall’intervista evidenzia come l’ammirevole lavoro svolto dalle sorelle Smurra non sia affatto statico. Il continuo rinnovamento e la voglia di diversificare le loro attività porta le imprenditrici alla ricerca di figure che, oltre a sposare la loro filosofia di vita, possano allearsi con loro e dar vita ad una collaborazione volta al riutilizzo degli scarti della produzione.
*Federica Saggiomo è laureata magistrale presso Sapienza Università di Roma; il lavoro è stato coadiuvato da Paola Cascinelli, Arcadia University Italy
**Intervista Cristiana Smurra, imprenditrice dell’azienda BioSmurra (6 giugno 2024).