04 Apr Elvira Celardi – Relazione finale Borsa Anna Crocioni
Relazione finale
Borsa di studio “Anna Crocioni“
A Colorni-Hirschman International Institute e Entopan.
Elvira Celardi
Novembre 2021
Qualche passo indietro per rileggere il mio percorso
Quando ho vinto la Borsa di studio “Anna Crocioni” istituita da A Colorni-Hirschman International Institute e Entopan era gennaio 2021. In quel momento stavo ancora scrivendo la mia tesi di Dottorato in Metodologia della Ricerca sociale presso il Dipartimento di Comunicazione e Ricerca sociale della Sapienza, Università di Roma. Avrei dovuto concludere il mio percorso il 31 gennaio ma l’emergere e il convergere di una serie di eventi sfavorevoli (una serie di minacce imprevedibili ex-ante, si potrebbe dire citando Hirschman) ha fatto sì che i tempi si prolungassero e il mio lavoro non procedesse nella maniera da me auspicata.
Ho partecipato così a una riunione dell’Istituto e dopo aver letto alcuni testi colorniani curati da Luca Meldolesi, si è deciso di rimandare l’avvio delle attività collegate alla borsa al periodo successivo alla consegna della tesi di dottorato.
Il mio lavoro (trecento e rotte pagine di teorie e dati scollegati tra loro, divisi in due parti e molti capitoli) si basava su un’esperienza che avevo fatto nel 2019 come consulente esterna per la Fondazione Con il Sud. Il mio progetto di ricerca prevedeva una ampia fase di approfondimento sul campo che mi avrebbe consentito di seguire da vicino gli interventi finanziati dalla FCS per favorire lo sviluppo di alcune aree marginalizzate del Mezzoggiorno. La mia idea era di parlare con le persone che erano state coinvolte nei progetti e visitare i luoghi in cui questi erano stati attivati, per capire se e come si sono evoluti i progetti e cosa ne era effettivamente rimasto.
L’avvento della pandemia, tuttavia, ha impedito la realizzazione di questa fase che io ritenevo essenziale per portare avanti il mio lavoro.
La frustrazione derivata dal fatto di non poter condurre la ricerca come avevo programmato non mi consentiva di cogliere le potenzialità contenute in ciò che avevo già a disposizione.
È stato in quel momento che Nicoletta Stame mi ha mandato via e-mail un estratto di una lettera di Eugenio Colorni a Ursula Hirschmann ( 21.1.1939 ), che recita così:
“Trovo molto bella l’idea della canzone popolare come ‘telegramma artistico’. (…) in ogni modo guardati, nello sviluppare queste idee, dal formularle in forma troppo teorica e concettuale. Guardati dal creare una “teoria” che cominci con la domanda: come dobbiamo definire il concetto di poesia popolare? E’ il difetto comune dei tedeschi; perché a forza di “definire il concetto”, finisci a perdere tutto il sugo della ricerca. Fa invece un lavoro più vago, in cui ci siano molti esempi, molte osservazioni concrete, senza la pretesa di voler incatenare tutto in “concetti”. E vedrai che ti viene bene e che sarà adattissimo alle tue possibilità”.
Mi sono resa conto che per sopperire alla mancanza di dati raccolti sul campo avevo dedicato troppa attenzione a teorie preconcette e all’analisi di dati quantitativi. Ecco che quella citazione è diventata illuminante è mi ha permesso di scovare un “insospettato rimedio”, proprio laddove io avevo visto un limite. Nel corso del lavoro fatto per la FCS avevo, infatti, predisposto numerose domande aperte con le quali avevo raccolto le esperienze (uniche) di persone che a vario titolo sono state direttamente coinvolte nell’attuazione dei progetti.
Prima di inviare il questionario inoltre era stato necessario telefonare singolarmente a gran parte dei referenti dei 221 progetti in esame. Essendo trascorsi diversi anni dalla conclusione dei progetti molti dei contatti forniti dalla FCS non erano più esistenti in quanto erano strettamente collegati alla realizzazione dei progetti. È stato dunque necessario trovare e contattare altri referenti dei progetti e in alcuni casi chiedere ulteriori contatti. Se questo passaggio ha prolungato la durata della rilevazione, dall’altro lato mi ha consentito di raccogliere una gran quantità di informazioni e punti di vista che avevo annotato e mi sono tornati utili per completare il mio lavoro.
Cogliendo il consiglio di Colorni, ho compreso che era all’interno di queste esperienze che dovevo guardare. Ho dunque limato il mio lavoro, come uno scultore fa con un blocco di marmo, ho svincolato l’analisi dagli elementi teorici precostituiti e ho dato spazio agli esempi che ho tratto dai racconti degli intervistati. Se le parole di Colorni sono state illuminanti nel guidarmi lungo il passaggio dalla teoria alla pratica, alcune formulazioni teoriche che ho ricavato dalla lettura incrociata di Hirschman e Tendler sono state fondamentali nella parte empirica della ricerca.
In primo luogo ho imparato a guardare le cose in maniera diversa, a uscire fuori dagli schemi teorici, a fare meno generalizzazioni e più esempi…
Nel mio lavoro di ricerca adottare un approccio possibilista basato sugli insegnamenti teorici e pratici di Hirschman, Tendler e Colorni mi ha consentito di allargare, in qualche modo, la sfera del possibile, includendo molte più informazioni sul funzionamento dei progetti, rispetto a ciò che si sarebbe potuto ricavare adottando un approccio mainstream.
In particolare, questo modo di applicare la valutazione mi ha consentito di rilevare come, al di là degli esiti attesi dai progetti, si siano verificati casi di successo inizialmente non previsti: il potenziamento dell’empowerment di alcuni destinatari; l’arruolamento di nuovi volontari all’interno delle organizzazioni; la diffusione di nuovi modelli sperimentati nell’ambito dei progetti oltre i confini dei territori; il potenziamento del turismo e dell’economia locale, ecc. E’ emerso come ogni iniziativa, anche quelle che hanno descritto casi di successo e cambiamenti positivi, ha alternato momenti favorevoli e fasi più complicate e ha sperimentato momenti di fallimento e casi di successo. Non sempre i casi di successo descritti dagli intervistati corrispondevano a quelli attesi dalla Fondazione, ma hanno rappresentato comunque esempi incoraggianti che mostrano che qualcosa può cambiare anche in aree marginalizzate e periferiche come quelle in cui sono stati attuati molti degli interventi. In molti casi il cambiamento positivo consisteva semplicemente in un diverso modo di guardare e risolvere un problema. Utilizzare questa impostazione di ricerca mi ha consentito di rilevare diversi casi di adattamento nella implementazione, vale a dire: casi in cui gli attuatori (operatori, volontari e referenti delle organizzazioni a vario titolo coinvolti nella realizzazione delle attività) hanno capito in corso d’opera quali occasioni si potevano sfruttare o cosa cambiare per aggirare gli ostacoli sopravvenuti. Questi risultati di ricerca che normalmente non vengono contemplati nella valutazione mainstream non sarebbero emersi se non avessi applicato quegli insegnamenti al mio modo di fare ricerca.
Perché ho fatto questa premessa?
Adesso che sono trascorsi i sei mesi in cui ho potuto beneficiare della borsa di studio e mi trovo a riflettere sulle attività svolte e su cosa ho imparato, mi rendo conto che gran parte delle lezioni apprese si inseriscono (e aggiungono un tassello in più) in un percorso formativo iniziato nel 2015, quando ho partecipato a un’altra iniziativa realizzata nell’ambito dell’Istituto: I mini premi.
Oggi mi risulta difficile scindere i due momenti perché per me rappresentano due diverse parti dello stesso continuum. In quell’occasione ho iniziato a prendere familiarità e a esplorare il concetto di possibile. Gli incontri mensili o bimestrali (inizialmente un po’ spiazzanti) in via del Boschetto a Roma con Luca Meldolesi e Nicoletta Stame, insieme ad altri giovani studenti o imprenditori, la lettura degli scritti di Hirscmhan e Colorni, le riflessioni via e-mail di Luca Meldolesi, le lunghe conversazioni con Nicoletta Stame, le conferenze a Capodimonte… stimolavano l’irrequietezza mia e degli altri mini-premi, lasciandoci da un lato la sensazione di non aver compreso mai tutto, dall’altro ci consentivano di prendere sempre più familiarità con l’dea di esplorare “l’intervallo che esiste tra il probabile e il possibile”. Da qui molti di noi hanno maturato l’idea che il possibile è di più del probabile e che quindi conviene aprirsi alla scoperta.
Al netto del disorientamento iniziale ci portavamo a casa un fermento che solo chi partecipava agli incontri può comprendere. Lungi dal voler ripercorre il percorso che dai mini-premi mi ha portato sino a qui, mi sembrava doveroso introdurre la relazione partendo da quell’esperienza, anche perché da lì il mio modo di vedere e fare le cose è decisamente cambiato. Allo stesso modo, se devo fare una riflessione sulla borsa di studio, come emerge dalla premessa, non posso non iniziare dalla valutazione. Del resto proprio nel periodo in cui beneficiavo della borsa di studio, all’interno dell’Istituto ACHI è emersa la volontà di dar vita a uno “spazio” (castelluccio) che si occupa di valutazione.
- Gli incontri settimanali: riflessioni sulla valutazione
Da quando ho iniziato a svolgere le attività previste dalla borsa di studio ho incontrato più o meno settimanalmente Nicoletta in via del Boschetto. Nel corso degli incontri, oltre a organizzare le varie attività, si è riflettuto molto sulla valutazione. Nicoletta mi ha dato diversi spunti, fornendomi link da consultare e articoli da leggere, ma la parte più interessante e produttiva degli incontri è stato il confronto diretto.
Anche se può sembrare contraddittorio, non vorrei dedicare troppo spazio al tema della valutazione in questa relazione, proprio perché è al centro dei miei interessi e dunque ne ho già parlato e spero di continuare a farlo adeguatamente altrove. Qui vorrei focalizzarmi più che altro sugli aspetti che rappresentano una sintesi tra la mia esperienza nell’ambito della ricerca valutativa e le riflessioni emerse dagli incontri e da alcune specifiche letture che ho fatto in questo periodo.
Più o meno da quando mi occupo di valutazione mi sono ispirata al pensiero di Hirschman e Tendler per orientare le scelte metodologiche delle mie ricerche, pertanto conoscevo già molte delle loro principali formulazioni.
Il tassello che si aggiunge al mio bagaglio di competenze ed esperienze riguarda il modo in cui alcuni aspetti teorici e pratici che si possono ricavare dal pensiero dei due autori possono essere ricondotti a un modo (un atteggiamento mentale in primo luogo) di fare valutazione orientato al cambiamento, in parte conciliabile o sovrapponibile con approcci valutativi esistenti. Si tratta di un modo di fare valutazione che può definirsi “possibilista”, in quanto fa proprio il principio dell’ampliamento della sfera del possibile sia nel modo in cui si guarda all’oggetto della ricerca (che non è confinato soltanto a ciò che ci si attendeva, ma si estende anche all’imprevisto e all’inatteso, con un atteggiamento di sorpresa di fronte a ciò che si è fatto bene) sia al modo in cui la valutazione stessa può incidere nel favorire nuove possibilità di cambiamento.
Provando a individuare alcune idee chiave che distinguono questo modo di pensare e fare valutazione da quello mainstream , si potrebbero indicare :
- Il modo di intendere gli interventi (politiche, programmi, progetti) principalmente quando sono presentano diversi elementi e livelli di complessità. Sia per Hirschman che per Tendler ogni intervento deve essere considerato una costellazione unica di esperienze e conseguenze; una ricca complessità di successo e fallimento, di efficienza e inefficienza, di ordine e disordine (Tendler, 1968, p. xi).
- Il modo di intendere i cambiamenti o gli esiti di un’innovazione: un complesso unico, irripetibile ed ex-ante altamente improbabile. Il cambiamento è inteso come un evento felice che si verifica una volta sola e qualora dovesse ripetersi in altre situazioni assumerà inevitabilmente connotati differenti. Comprendere, tuttavia, che è successo dà la fiducia che: «costellazioni di circostanze simili, e ugualmente uniche, possono ancora verificarsi» (Hirschman, 1994, p.314-15). Da questa prospettiva il manifestarsi del cambiamento dipende dai vincoli e dalle opportunità che un intervento incontrerà durante la sua attuazione e dal modo in cui le persone che a diverso titolo sono toccate dal programma sapranno elaborare strategie d’azione per rispondere a tali vincoli e cogliere tali opportunità.
- È necessario, imparare a sfruttare il potenziale creativo che si nasconde all’interno delle situazioni di complessità per stimolare nuovi processi di apprendimento e innescare cambiamenti positivi nei territori. Fondamentale è pertanto la capacità di sfruttare le vie d’uscita offerte dalle situazioni inattese.
- L’attenzione per le conseguenze inintenzionali. Nella logica possibilista di Hirschman la ricerca delle conseguenze inintenzionali delle azioni umane acquisisce, dunque, una funzione di primo piano nella conoscenza sul funzionamento dei programmi tanto quanto la ricerca di regolarità, relazioni stabili e sequenze uniformi, in quanto permettono al ricercatore di cogliere la molteplicità, il disordine creativo e l’unicità dell’esperienza che si sta studiano.
- Non è sufficiente però identificare soltanto i successi in situazioni dove questi appaiono altamente improbabili ma occorre anche saper demistificare gli ostacoli, perché in ogni situazione è possibile prendere strade alternative, inizialmente imprevedibili e pertanto occorre attrezzare lo sguardo per saperli riconoscere…
- Cominciare dalle difficoltà. Quasi sempre quando ho provato ad applicare questo modo di fare la valutazione e ne ho presentato i risultati, mi sono sentita dire che si tratta di uno stratagemma per ignorare le difficoltà e focalizzare l’attenzione solo su ciò che è andato bene. In realtà non vi è nulla di più falso. Applicare questo modo di intendere la valutazione (per me, generalmente attraverso l’utilizzo di approcci valutativi c.d. di pensiero positivo) non ignora le difficoltà, ma ne prende atto e partendo proprio da quelle cerca di dimostrare come, nonostante esse, qualcosa è stato fatto bene, anche se generalmente in maniera diversa rispetto a ciò che ci si aspettava.
Tendler, pertanto, consiglia ai valutatori di non dedicare troppa attenzione alle difficoltà ricorrenti (perché bisogna aspettarsele) ma di imparare a sorprendersi nei casi in cui queste non si verificano e di impegnarsi a spiegare come ciò sia potuto accadere.
- Trattare ogni caso di successo con senso di venerazione e distinguere ciò che, rispetto a quel caso, era prevedibile da ciò che invece non lo era.
- Trovare le diverse costellazioni di circostanze che funzionano, soffermandosi ad analizzare i diversi aspetti e le diverse dimensioni (sociali, politiche, economiche, tecnologiche) che interessano ogni progetto e il diverso modo in cui tali elementi si combinano tra loro di volta in volta.
- Individuare una serie di criteri generali riguardo a ciò che in ogni situazione sembra condurre a casi di successo e cercare di immaginare per analogia come ciò potrebbe realizzarsi in nuovi progetti .
- Svincolare l’analisi valutativa da schemi precostituiti riferibili tanto alla logica razionale che guida la formulazione dei progetti, quanto alla rigida adesione a paradigmi che possono inibire la capacità di comprensione della ricerca.
- Utilizzare gli output del progetto come criterio per valutare il conseguimento degli obiettivi può indurre a concentrare eccessivamente l’analisi su questi, oscurando opportunità e soluzioni che si sono presentate nel corso dell’azione.
- Il valutatore deve «guardare senza paraocchi a ciò che l’organizzazione ha di fatto realizzato, indipendentemente dai suoi obiettivi; quindi mettere a confronto realtà e obiettivi».
Nel periodo di chiusura della borsa di ricerca ho presentato questi (più altri) aspetti in una lezione presso il Dipartimento di Comunicazione e Ricerca Sociale della Sapienza. In particolare ho cercato di mettere in evidenza come un pensiero valutativo “possibilista” nel senso sopra descritto abbia orientato le mie attività di ricerca, mostrando esempi reali tratti da mie diverse esperienze nella ricerca valutativa. La lezione si è inserita all’interno di un più ampio ciclo di lezioni-incontro che Veronica Lo presti ha organizzato, con il mio supporto, in collaborazione con l’Istituto ACHI.
- Uno sguardo al Sud e alle imprese: Venti del Sud e la scuoletta posssibilista
Collaborare alla realizzazione di alcune iniziative e attività promosse dall’Istituto ACHI insieme a Entopan mi ha consentito di fare esperienza del modo in cui è possibile applicare le lezioni di Hirschman e Colorni e di individuare esempi concreti che provengono da ambiti diversi da quello della ricerca valutativa. Inoltre una delle più importanti lezioni (e soddisfazioni, essendo io meridionale) mi giunge dal Sud Italia che, come ho avuto modo di scoprire dalle esperienze che ho raccolto svolgendo le diverse attività, offre molti esempi di individui e imprese che hanno saputo promuovere e innescare processi di sviluppo a livello locale facendo leva sulle risorse e sulle potenzialità (spesso latenti) delle persone, dei territori e delle tradizioni locali.
- Venti del Sud: il giornale online che si occupa di scovare le iniziative possibiliste meridionali
Alla luce di quanto detto sopra, una delle attività a cui ho partecipato con grande interesse, e che spero di continuare a svolgere anche dopo lo scadere della borsa, ha riguardato la collaborazione alla redazione del giornale online Venti del Sud. L’obiettivo del giornale è di scovare iniziative possibiliste meridionali (o di altri Sud) nei campi dell’impresa, della pubblica amministrazione e della cooperazione attraverso la diffusione di storie che, in qualche modo, hanno lasciato il segno e si sono rese promotrici del cambiamento territoriale.
Anche se ogni contributo racconta una storia unica e diversa dalle altre, ciascuno di essi ci dimostra che vale la pena credere nelle possibilità del Sud e, come si legge sul sito del giornale: “ in un’evoluzione del Paese che spiri da Sud (e non solo da Nord)”.
Nell’ambito di questa attività, in particolare, io mi sono occupata, insieme a Raffaele Del Monaco, della revisione di un articolo e della stesura di altri due. Per ciascuno di questi articoli è stata redatta una breve sintesi di presentazione e sono state individuate una serie di idee chiave e di idee da ricordare che permettono al lettore di comprendere in quali costellazioni di circostanze in quelle realtà si sono attivate delle effervescenze creative che hanno innescato dei processi di sviluppo che spesso sono arrivati oltre i confini territoriali.
Il primo articolo di cui mi sono occupata ( il Numero 7 – Maggio 2021) è stato redatto da Vito Belladonna e racconta il processo di sviluppo dell’impresa di Carlo Paladini. La realtà descritta nell’articolo, dal titolo “Valorizzazione del territorio e responsabilità sociale. Idee e buone pratiche, dalla Puglia”, pur non essendo legata alle radici intellettuali e pratiche promosse dall’Istituto ACHI, presenta diversi aspetti possibilisti, tra cui: l’importanza di riuscire a trasformare le difficoltà in opportunità per dare vita a traiettorie di cambiamento possibile in cui convergano l’interesse economico con la valorizzazione e la promozione del territorio. L’articolo, più nello specifico,ci mostra un esempio concreto del modo in cui l’imprenditoria locale riesce a combinare creativamente l’innovazione con il recupero della tradizione e la responsabilità sociale.
Il secondo articolo che ho curato è quello che è riuscito a catturare maggiormente il mio interesse. Questo numero di Venti del Sud (Numero 8 – Giugno 2021) dal titolo “Ripartire dalla Calabria e dalla seta, con gioia! Intervista a Miriam Pugliese” si basa su un’intervista che Raffaele Del Monaco ha fatto a una dei tre soci promotori della cooperativa Nido di Seta che ha realizzato la sua attività nel piccolo comune di San Floro in Calabria. L’articolo ci racconta in che modo i tre giovani hanno saputo rilanciare, interamente con fondi privati, lo sviluppo di questa piccola comunità partendo dalla produzione della seta con tecniche antiche, portandovi migliaia di visitatori. A partire dal progetto Nido di Seta è stato attivato un network di artigiani calabresi ed è stata avviata una scuola di formazione sulle tecniche utilizzate nella filiera della produzione della seta. L’iniziativa è stata così efficace e al contempo visionaria da suscitare l’interesse del Moma di New York.
L’ultimo articolo che ho curato (Numero 10 – Ottobre 2021) è una sintesi dell’intervento che Paolo Ciaccio, direttore dell’azienda di accelerazione delle start-up di Entopan (Cz), ha tenuto in occasione della scuoletta possibilista, di cui parlerò più avanti. Con il suo intervento, Paolo Ciaccio ci ha mostrato che è possibile esprimere, anche nel Mezzogiorno, le proprie migliori potenzialità, ponendole al servizio dell’innovazione e del progresso.
Infine mi sto occupando della redazione di un nuovo articolo (che ancora non è stato pubblicato) e raccoglie l’esperienza personale e professionale di Francesco Messina, Business Process Management Consultants presso la società di consulenza CentoCinquanta S.r.l. di Catania.
L’articolo racconta la storia di Francesco a partire da quando era uno studente di Economia all’Università di Catania, passando per l’incontro con Luca Meldolesi e da come questo ha modificato il suo modo di pensare, vedere e fare le cose, fino ad arrivare all’apertura di CentoCinquanta.
La capacità di saper individuare e sfruttare costellazioni di circostanze favorevoli, la capacità di aggirare gli ostacoli facendo leva sul potenziale creativo delle persone e dei luoghi, l’ambizione per il cambiamento sociale prima ancora che per l’interesse economico sono solo alcuni degli elementi che rendono il percorso di Francesco Messina un esempio di successo che nasce dal Sud Italia.
- Eppur si può! Pratiche formative possibiliste
Un’altra delle prime attività in cui sono stata coinvolta è stata la messa punto è realizzazione di quelle che possono essere definite “pratiche formative possibiliste”.
Dall’intento di diffondere le pratiche formative e gli insegnamenti teorici ereditati da Albert Hirschman ed Eugenio Colorni, l’ACHI ha dato vita alla prima edizione della “Scuoletta possibilista – Eppur si può”, che si è tenuta online nei mesi di aprile e maggio 2021.
L’idea della scuoletta è stata quella di combinare strumenti teorici e lezioni pratiche per stimolare una riflessione sulle possibilità di cambiamento che possono generarsi in situazioni caratterizzate da alti livelli di complessità, in primo luogo ma non soltanto, nei territori del Meridione.
Attraverso i colloqui conoscitivi individuali, la lettura di testi specifici selezionati a seconda delle esigenze e dei percorsi personali e la partecipazione a due aule online, giovani laureati, imprenditori, consulenti, liberi professionisti, dirigenti e dipendenti si sono interrogati su come sprigionare le energie per il miglioramento personale e professionale, coniugando sfera privata e sfera pubblica. I colloqui e gli incontri sono stati tenuti dal Prof. Luca Meldolesi e dalla Prof.ssa Nicoletta Stame con il supporto e la partecipazione di altri membri dell’Istituto.
In particolare io, Raffaele Del Monaco, Roberto Celentano e Paola Cascinelli abbiamo assunto una funzione di tutoraggio e abbiamo supportato la realizzazione della scuoletta occupandoci dell’organizzazione e in alcuni casi della gestione dei colloqui individuali, dell’ analisi dei curricula, dell’elaborazione di schede individuali per ogni candidato e delle successive comunicazioni con i corsisti.
Nell’ ambito della scuoletta possibilista sono state realizzate due aule video che hanno messo in campo alcune problematiche comuni del “fare impresa” nel Mezzogiorno.
La prima, che si è svolta la mattina del 28 maggio, ha ospitato Giuseppe Di Martino, oggi titolare dell’omonima azienda pastaia di Gragnano (Na).
L’ incontro si è basato sull’esperienza di un’azienda famigliare tradizionalissima, che grazie all’impegno e alle capacità del suo fondatore, “il padre di Giuseppe, e alle intuizioni di Giuseppe negli ultimi anni ha vissuto una crescita straordinaria, tramite la creazione del consorzio della Pasta di Gragnano e la certificazione IPG”. Il contenuto dell’incontro è stato raccolto e sarà pubblicato nel n. 11 del giornale online Venti Del Sud, a cura di Paola Cascinelli.
La seconda aula si è tenuta nel pomeriggio del 31 maggio e, come avevo già anticipato, ha avuto come ospite Paolo Ciaccio, che ha mostrato cosa è già stato fatto (e cosa bolle in pentola) in Calabria nei riguardi di uno snodo particolarmente delicato per iniziare un’impresa a Mezzogiorno.
- Pratiche possibiliste e l’icontro-scoperta con CentoCinquanta S.r.l
Alla fine dei due incontri è stato inviato un questionario finalizzato a indagare l’opinione dei corsisti sulla scuoletta. Con lo stesso abbiamo chiesto ai corsisti se avessero voluto essere coinvolti nelle attività future, iniziando con la scrittura di un breve testo che prendesse spunto dagli input ricevuti nelle giornate di formazione. Le risposte pervenute, tuttavia, sono state molto poche, pertanto abbiamo deciso di contattare individualmente i corsisti per comprendere il motivo della mancata risposta. Io mi sono occupata di tenere vivi i contatti con i corsisti provenienti da Centocinquanta S.r.l di Catania. Nel mese di giugno li ho contattati uno a uno e ho riscontrato che la maggior parte di loro non aveva risposto perché per incongruenza con gli orari lavorativi non aveva partecipato a uno o a entrambi gli incontri e pertanto si erano autoesclusi. Tutti quanti però hanno manifesto curiosità e interesse nei confronti dell’Istituto.
Così con Nicoletta, Luca e Francesco Messina abbiamo deciso di programmare un incontro in sede a Catania. Per facilitare l’organizzazione degli incontri ho creato un gruppo WhatsApp che ha consentito di mettere in connessione tutti e definire data e ore dell’incontro, che si è tenuto a fine giugno. Questa esperienza ci ha permesso di entrare nel vivo della strategia organizzativa e operativa di Centocinquanta, di capire meglio il contesto in cui opera, le difficoltà che quotidianamente deve affrontare e le strategie che attuano per farvi fronte.
Le persone che abbiamo conosciuto si occupano principalmente di consulenza e formazione per le imprese siciliane. La maggior parte di loro, salvo pochi casi, ha una formazione economica.
Sia nei colloqui individuali che nel corso dell’incontro in sede è emersa da parte di tutti un’elevata capacità critica di lettura del contesto, mentre si è riscontrata una distinzione dei ruoli tra uomini e donne. I primi, (a differenza delle seconde che per i ruoli svolti lavorano in ufficio) si occupano per lo più delle attività di consulenza in azienda e ciò li porta ad avere un maggior contatto diretto con i clienti e le realtà che si rivolgono a CentoCinquanta.
Dai racconti dei consulenti che quotidianamente “scendono sul campo” (visitano i loro clienti in diverse aree della Sicilia, li ascoltano, ne osservano le pratiche, ne comprendono il linguaggio e offrono loro soluzioni che si adattano alle diverse circostanze) sono emerse diverse storie di imprese che nonostante diversi problemi hanno saputo innovarsi, offrendo un valore aggiunto al territorio.
Quando abbiamo incontrato il team di CentoCinquanta alcuni di loro ci hanno chiesto delle spiegazioni sul concetto di possibilismo, che ritenevano troppo distante e astratto rispetto alle pratiche quotidiane che normalmente si trovano a sperimentare. Nei fatti, in realtà, a mio parere molti dei consulenti di CentoCinquanta utilizzano già un approccio possibilista anche se non ne sono consapevoli. Dalle storie che ci hanno raccontato mi sembra, infatti, che diverse esperienze di successo sono derivate proprio dalla capacità dei consulenti di mobilitare le energie nascoste e male utilizzate all’interno delle aziende.
Per far ciò il lavoro dei consulenti non si limita alla consulenza o alle attività di formazione ma si basa sull’osservazione, sull’ ascolto, sulla comprensione di contesti, situazioni, linguaggi, problematiche, tensioni tra le diverse parti aziendali…insomma qualcosa che sarebbe riduttivo inquadrare all’interno di un modello teorico ma che si sviluppa nella realtà e a seconda delle situazioni. Mi sembra che un elemento vincente sia la capacità di role-taking (intesa nell’accezione dell’interazionismo sibmolico) che si può sviluppare soltanto calandosi all’interno delle situazioni e armandosi di una buona dose d’amore in senso colorniano.
Questa mia impressione non deriva soltanto dall’ascolto delle esperienze del team di CentoCinquanta ma anche dalla possibilità che ho avuto, due mesi dopo, di poter accompagnare Francesco Messina in una “ordinaria” giornata di lavoro.
In questa occasione ho avuto modo intervistare Francesco Messina e conoscere meglio la sua storia, il suo percorso e l’approccio di CentoCinquanta lungo il tragitto in auto da Catania a Capo d’Orlando. Qui ho osservato Francesco e Leonardo Lillo a lavoro presso un’impresa di torrefazione che ha richiesto il loro intervento, ho osservato le loro interazioni e il loro modo di fare consulenza.
- Osservazioni conclusive e spunti di riflessione
Le esperienze che ho avuto modo di conoscere in questi sei mesi mi hanno fatto riflettere su una tendenza diffusa al Sud, che spesso incide negativamente nell’influenzare le possibilità di successo personali, in primo luogo, ma anche di cambiamento a livello territoriale: quella di tenere bassa l’asticella delle ambizioni.
Giusto qualche giorno fa ho aiutato una mia amica siciliana di vecchia data a sistemare il suo curriculum cercando di sviscerare dalle sue esperienze le competenze che meglio potessero esserle utili per la ricerca del suo prossimo lavoro. Quando abbiamo finito mi ha detto: “questo curriculm rispecchia esattamente le cose che ho fatto e quello che so fare ma è fatto così bene che se lo presento in Sicilia non mi assumeranno da nessuna parte. Penseranno sicuramente che sono ambiziosa. Lo userò piuttosto per quando andrò al Nord”.
Eppure non avevamo scritto niente che lei non abbia mai fatto o non sappia fare nella realtà. Nella sua frase ho letto insieme lo scoraggiamento e la sfiducia verso la sua terra e l’annullamento delle sue ambizioni.
Purtroppo quello della mia amica non è un caso isolato. Sono tanti i giovani che non ci provano per paura di fallire e che non si mettono in gioco attribuendo le colpe al contesto.
Questa cosa mi mette un po’ di tristezza e me ne mette ancora di più quando ad arrendersi prima ancora di incominciare sono donne giovani, che magari hanno studiato e fatto sacrifici e che pensano che sia normale rinunciare alle proprie ambizioni perché, proprio in quanto donne, pensano di meritare un po’ meno dei loro compagni, mariti, fratelli… Fortunatamente questo accade sempre meno, ma accade ancora.
Le iniziative promosse dall’istituto come quella dei mini-premi, delle borse di studio, della scuoletta possibilista, gli incontri nelle Università, ma anche la diffusione di Venti del Sud ecc., non offrono soltanto degli strumenti pratici, teorici o economici,ùù ma svolgono un importante ruolo di incoraggiamento per i giovani (quelli irrequieti, che sono disposti a mettersi in gioco e a rompere gli schemi), perché insegnano, in primo luogo, che per cambiare le cose bisogna attivarsi.
Credo che una lezione che porterò a casa da questa esperienza riguarda l’importanza di lavorare sulle proprie ambizioni e di impegnarsi per realizzarle, cercando di non scoraggiarsi di fronte alle avversità e in alcuni casi di saper trasformare i costi in opportunità.
Come accade per i progetti sociali, anche nei percorsi personali e professionali le possibilità di successo sono influenzate, a mio avviso: dai punti di partenza, dalle opportunità e dai vincoli che si incontrano lungo il percorso, ma anche dalla capacità creativa di saper aggirare gli ostacoli e trovare vie d’uscita…
Molte delle storie che ho avuto l’opportunità di conoscere tramite Venti Del Sud o il racconto delle esperienze di imprenditori che hanno lasciato il segno sono storie di persone che hanno avuto la capacità e a volte il coraggio di mettersi in gioco, credere in sé stessi e nelle proprie idee, di ragionare fuori dagli schemi e di andare controcorrente. Si tratta di persone o gruppi di persone animate “dalla passione per il possibile”, che hanno creduto in un progetto e hanno investito (non soltanto economicamente) per farlo crescere.