Bollettino n. 2.1

Bollettino n. 2.1

Cari amici,

per aprire la seconda serie di questi mini-bollettini da lontano, ho pensato di trascrivervi alcuni spunti di un mio scambio con Vinni sulla tematica sollevata da “Lunga vita a National Power!”. Perché, se (come mi ha scritto) sono serviti a lui, potrebbero essere utili anche ad altri.

Naturalmente, lascio al mio interlocutore, se ne ha tempo e voglia, l’onore di chiarire il suo punto di vista (e magari anche la sua evoluzione).

Un saluto!

Luca

 

Caro Vinni,

  • Perché Albert Hirschman si è fermato a quel punto (come hanno fatto poi numerosi esponenti della dependencia, del world system ecc.)? Per ragioni di accreditamento professionale, certo. D’altra parte, non ho parlato della seconda ragione che elenchi, perché nel 1941-42 cosa fosse la potenza nazionale nazista lo sapevano pure i gatti. Eppure, ve ne è anche una terza di ragione (a cui, invece, ho accennato). Lasciando a quel punto il ragionamento, lo scopo politico di Albert (l’indispensabilità di limitare la sovranità delle potenze nazionali in una logica cripto-federalista) era ormai acquisito.

        Invece, se avesse cercato di andar oltre, avrebbe messo a repentaglio innanzitutto la plausibilità professionale del suo lavoro; ed anche un modo (errato) di    pensare allora in auge che risale a Saint-Simon. Vale a dire, che la struttura determina la sovrastruttura (per dirla marxianamente) molto più che viceversa. Vedi da dove “sbuca” all’improvviso l’esigenza primigenia dell’auto-sovversione?

  • Albert ha inoltre due saggi – uno sugli investimenti e l’altro sugli aiuti esteri (che oggi per buona creanza chiamiamo cooperazione!) – dell’epoca dell’economia dello sviluppo. (Li richiama di sfuggita nell’Introduzione alla ristampa di National Power del 1980: li prenderò in considerazione nel mio vol. 2). Ovviamente essi completano il quadretto iniziato con il commercio estero. Ma l’attualità di NP risiede innanzitutto nella accecante visibilità quotidiana delle rivalità tra le grandi potenze. Un fattore che a lungo ritenevamo sopito (o addirittura estinto) e che invece è di nuovo esploso come caratteristica chiave del mondo in cui viviamo.
  • E’ iniziata così la terza vita di un libro assai longevo. Purtroppo per attualizzarlo, ha spiegato il suo autore nell’edizione del 1980 (e magari completarlo con gli investimenti e gli aiuti) bisognerebbe ricominciare daccapo. Compito questo (eventuale) per un hirschmaniano che ha “vita da spendere”. Io, inevitabilmente, debbo accontentarmi di ragionare per analogia.

Conclusione: scrivo quel che vedo giornalmente perché mi sembra utile farlo alla luce del nostro punto di vista (anche per mostrarne al lettore l’attualità quotidiana e per abituarlo a ragionare alla nostra maniera).

Sbaglio?

Un abbraccio,

Luca

 

Caro Vinni,

  • A mio avviso, la stella polare (la fenicia, la rossa) che è il leit-motiv delle mie “Prospettive Med” (che stiamo per presentare anche qui, in inglese) rimane la stessa: l’uscita dai rapporti di dominio/subordinazione.

“Why dominate?” – è la domanda colorniana chiave.

A riprova di ciò ti porto una lettera di Albert alla moglie del maggio 1941, mentre stava per l’appunto scrivendo National Power.

“You must read Julien Benda’s La traison des clercks” (Vale a dire, il blistering assault di Benda on French and German intellectuals who spurned a classical heritage of dispassionate inquiry to become apologists for nationalism, jingoism and war). Si tratta di “a contemporary document of utmost importance (and adorable for its partiality)” E più oltre: “I have an idea (a little one to be sure) … I am stuck at the moment by certain parallelisms in modern thought in different disciplines”. Ad esempio, la politica economica “has no longer any purpose as the Utility or Material Welfare; but is solely concerned with the applying the most rational means for ends that are imagined outside it (désigné du dehors)”. L’assurda conclusion è che “we ask politics the science of means par excellence to formulate the ends by which economic policy, ethics etc. will render themselves accordingly as the Serviteur des Affaires”. “Here we have the abdication, the treason of the intellectual in a new sense, I think, and we can explain this partially by the development of this hybrid position of intellectuals in the modern world: neither master, nor prosecuted, but technicians.” Da qui, prosegue più oltre Hirschman, scaturisce il fatto che gli intellettuali si rifiutano di domandarsi questioni fondamentali come “la sete di potere e di dominio” come fini in sé stessi. “The Fascism is politicaillerie on a gigantic scale.” “Why dominate?” “Fascism will not survive the moment in which we found the leisure (loisir, il tempo libero) to pose this question.”

Ho imparato, inoltre, che ad Albert l’idea di esplorare National Power gli venne a Trieste leggendo una famosa lettera di Machiavelli a Francesco Vettori (che naturalmente azzannerò appena tornato).

  • Se pensassi invece (come Caracciolo e tanti altri) che i rapporti di dominio sono (e saranno sempre) inevitabili, allora non vedrei ragione di scaldarmi tanto. Perché il Sud domini il Nord o l’Italia la Germania? Ma mi faccia il piacere… – avrebbe detto il principe de Curtis! Vale a dire, avrei mille ragioni per mandare tutto al diavolo ed occuparmi esclusivamente dei fatti miei. Come, per l’appunto, si dice in napoletano: “faceteve’ fatte vuost!” – una dizione colorita ma davvero problematica, che mi ha sempre fatto pensare…

E invece no! La stessa affermazione dell’Hirschman adulto, “for a better world”, perderebbe parte (e forse tutto) il suo significato, se gli togliessimo quel bagliore accecante in fondo al tunnel dell’umanità. Naturalmente, mi rendo conto che per uscirne gradualmente ci vorrà un tempo imprecisato, che supererà inevitabilmente le vite di più generazioni[1]NOTA. Ma se non combattessimo la nostra battaglia giorno dopo giorno, daremmo ragione a chi dice che è IMPOSSIBILE uscire dal labirinto, e quindi… se ne frega. Bisogna scegliere!

  • A questo punto torno ad essere realista e pragmatico. E quindi possibilista.

Mi domandi (implicitamente) perché all’estero Nicoletta ed io privilegiamo da 40 anni gli Stati Uniti? Oggi, per lo meno per due ragioni. Perché ci sentiamo come quei magno-greci che, per rendersi conto, non potevano fare a meno di “salire” a Roma. E perché (lo scrivo con dispiacere) dopo aver provato e riprovato a lavorare a lungo con i (e nei) nostri principali partners europei (UK, Francia, ora Germania) siamo giunti alla conclusione che non ci conviene più di tanto: non ci “filano”, pretendono di cooptarci nei loro progetti di potenza nazionale… Punto e basta.

Invece qui in America possiamo dialogare con una punta avanzata della diaspora meridionale italiana (la più interessante tra quelle che abbiamo incontrato girando il mondo). Pensiamo di costruire insieme qualcosa di veramente nuovo, in controtendenza! Ma abbiamo di fronte due tabù italici che dovremmo depotenziare e superare: quello del ritorno al Sud e quello del rapporto tra cultura e business. Per questo stiamo studiando di acquisire e mettere in moto la Casina di Montepulciano come prima camera di decompressione e poi luogo di sperimentazione di questo maxiprogetto.

Ne parleremo…

Un abbraccio

Luca

Naturalmente ho bloccato la stampa del mio libro per poterci rimettere le mani, tenendo conto del bel dibattito che hai (avete) scatenato. Grazie!

20.2.24

Caro Vinni,

  • Sono consapevole della mia età e dei miei limiti. Se qualcuno più giovane e capace di me vuole cimentarsi, ben venga: si faccia avanti! Per esser chiari: il virtuosismo politico possibilista di Eugenio Colorni o di Albert Hirschman a Marsiglia nel 1940 (di cui si sta ora occupando Tom) sono finora esempi insuperati…
  • Quanto a me, è vero che non ne parlo molto. Ma quando ho detto a mio nipote, Matteo Meldo, che ho lavorato come consigliere per il Presidente della Repubblica, il Presidente del Consiglio, e i Ministri della Difesa, del Tesoro e del Lavoro[2], è rimasto di stucco. A parte l’ultima, davvero tristissima, vicenda, sono state esperienze double-face di cui non mi sono affatto pentito. Vuoi discuterne? Non credo!
  • Riguardo poi al giudizio sulle due grandi occasioni perdute nel 1989 (rispetto alla Cina e alla Russia) sollecitatomi da Vittorio, mi pare che non vi siano dubbi. Averle trasformate propagandisticamente in grandi vittorie (da fine della storia!) rappresenta un vulnus gravissimo che ci trasciniamo dietro e che dimostra la “paucità” dei governanti democratici dell’Occidente. Riprova: ciò che è accaduto in Medio Oriente, soprattutto dopo la crisi delle Torri Gemelle. Mi tocca scriverlo: se non vado errato, le responsabilità al riguardo delle amministrazioni Clinton ed Obama non sono affatto secondarie.
  • Quando sostengo che è necessario tamponare le tre aree di crisi intendo dire che, se non vuole andare incontro a guai ancora più gravi, l’Occidente deve agire subito in modo più coeso e determinato di quanto osservo quotidianamente – per impedire l’avanzata militare russa e quella economico-militare cinese. E per spegnere la folle guerra in Medio Oriente. Questo tipo di politiche di contenimento, se avessero successo, potrebbero forse aprire a “tutti quanti” una fase un po’ meno apoplettica.
  • Detto questo, aggiungo che la penso come scrisse Albert Hirschman nella lettera del maggio 1941 di cui nella lettera precedente (e dunque all’inverso di quanto scrivi tu). Non è il possibilismo d’alta quota che ci manca. E’ vero piuttosto che, nel loro gioco prediletto dello scaricabarile sulle spalle della politica, le scienze sociali hanno accumulato responsabilità gravissime. Anche perché (aggiungo) molti politici non sono affatto all’altezza. (Sul perché le cose stanno proprio così mi riserbo di scrivere ancora qualcosina…)

Un abbraccio,
Luca
22.2.24

 

____________________
[1] Come è accaduto, peraltro, per il piccolo tratto di strada percorso – quello che dalla Società delle nazioni ha portato all’Onu e poi a un insieme di Istituzioni internazionali, all’Ue ecc. Una tendenza alla federalizzazione (esterna ed interna ai diversi paesi) – l’ho scritto altre volte – esiste effettivamente. L’errore consiste nell’esagerarne la forza e l’influenza ugualizzatrici in un mondo ancora dominato dalle rivalità tra le grandi potenze (che per di più si sono andate aggravando negli ultimi tempi).
[2] Per non parlare delle Regioni e delle Province meridionali…