Bolletino n. 2.4 Un punto d’equilibrio temporaneo

Bolletino n. 2.4 Un punto d’equilibrio temporaneo

Un punto d’equilibrio temporaneo.

Caro Paolo, cari amici, com’è curiosa la memoria!

Leggendo l’email (bella, divertente e utile) di Paolo DN che segue, mi è tornata in mente una conzoncina della mia infanzia positanese, “Scalinatella saglie in cielo e scinn’a mare” che a un certo punto dice: “illa s’è nnammurat’ e ‘no pittore ca’ pitta Capri e parla forestier’”.

Dobbiamo parlare di questo pittore; del Grand Tour; o dei grandi – tipo Wagner e Nietzsche – che sono venuti in Costiera a guarire anima e corpo (diceva Camus); oppure di Gore Vidal? Non credo: neppure se fossero stati dei grandi italici.

Non mi pare che dobbiamo mettere “il sale sulla coda” di nessuno. Accettiamo pure la loro maggiore “reversibilità” (che ha evidentemente ragioni strutturali, proprie della piramide umana in cui viviamo).  Il nostro compito è un altro: mostrare ad alcuni americani/italiani selezionati ciò che loro non vedono. Vale a dire, la necessità di aggirare e superare, nel loro stesso interesse, due tabù fondamentalmente fasulli – l’uno culturale e l’altro spaziale – a cui ho accennato nel Bollettino 2.2 (che anche accludo più oltre).

Ma sono cose che già conoscevamo, non c’è nulla di nuovo – protesterà qualcuno…

Certo, risponderei: sono 40 anni che mi provo a mostrare che, sia dal punto di vista culturale, sia da quello spaziale, la situazione del Mezzogiorno non è quella di cui generalmente si vocifera, su ambedue le sponde dell’Atlantico.

E dopo tutto questo tempo insisti ancora?

Cos’è cambiato per accendere in proposito un po’ di speranza?

Almeno tre cose:

  • Il Mezzogiorno ha vissuto una fase importante di evoluzione che lo ha aperto gradualmente al nuovo;
  • Tra le tante iniziative, il nostro Istituto incardinato in Entopan ha avuto come compito di mettere in discussione la tipica separazione tra cultura e business.
  • Il baricentro del nostro lavoro si è spostato più a Sud, dove tra Lamezia e Catania sta sorgendo proprio in questo mese l’Harmonic Innovation Group di cui faremo parte anche noi, con le nostre amicizie e i nostri collegamenti.

Nonostante ciò, sono d’accordo: il compito non è affatto facile.

Me ne rendo perfettamente conto, anche negli incontri che Nicoletta ed io stiamo avendo a Cambridge-Boston ed a New York.

E allora?

Allora stiamo cercando la proverbiale stradetta possibilista – per fare in modo che la cultura si apra al business ed il business alla cultura; per fare in modo che gli americani/italiani (anche i grandi di origine siciliana come la First Lady Jill Biden, il poeta Dan Gioia, o il dott. Fauci) giunti in Italia desiderino andare a Sud oltre che a Nord[1]; e viceversa per fare in modo che i nostri manager e collaboratori non vedano l’ora di sbarcare negli Stati Uniti (magari passando da 1699, Cambridge St. Cambridge Ma.) come parte essenziale, corrente e ricorrente, del loro lavoro.

Sì, d’accordo, mi direte: ma come si fa?

Il passo iniziale è troppo lungo!

Bisogna trovare, in questo esperimento, un punto d’equilibrio temporaneo, come quello di usufruire di un luogo di sosta molto desiderato (un po’ per decompressione, un po’ per incontri), come casa mia in Toscana, che io chiamo ironicamente la nostra mini-bellagio (Bellachio dicono gli americani che non sanno pronunciare “gio”)…

E poi?

Bisogna trovare la forza, anche economica, di rompere l’incantesimo, di sbloccare le cose…

Ne parleremo, ne parleremo!

Luca,

the Old Man (prosegue)

Un Luca giovane, caro Paolo, lo conosci già: è Luca G. Uno più vecchio ci ha lasciato da poco: il noto pittore italo-argentino Luca P. (era mio cugino)

Caro Luca (e ci dirai poi quale sarebbe un Luca più giovane di te!),

il filo che tu e Nicoletta state tessendo tra i “due mondi” è molto più che sensato.

Dal punto di vista della mia piccola esperienza, questo filo è forte ma allo stesso tempo se visto nella direzione Ovest-Est (dagli Usa all’Italia), si presenta sempre revocabile.

E questo è forse un buon vantaggio. Cerco di spiegare questa idea col racconto di un fatterello per me esemplare.

Un importante scrittore americano (senza origini italiane) decise di trasferirsi – quasi a tempo pieno – in Italia nel secondo dopoguerra e, dopo aver trascorso alcuni anni a Roma, si spostò in costiera, a Ravello.

Vi comprò una villa che mescolava (come tutte le case dei “forestieri”) stilemi dell’architettura tipica locale con improvvise citazioni “gotico-nibelunghe”, abbarbicata su una rocca di calcare che spicca dal lato sud dei monti Lattari che precipitano nel mare del ducato amalfitano…

Lì, passa gli anni più brillanti della sua vita e della sua carriera mantenendo costanti i suoi rapporti con Los Angeles e con New York (dove esercitava il mestiere di celebre autore di cinema e di scrittore) e continuando la frequentazione del suo ambiente socio-lavorativo che ovviamente transitava anche per “La Rondinaia” di Ravello, restando inevitabilmente folgorato dalla sua bellezza olimpica (“….perchè noi siamo dei……”! citando le fantastisticherie sociologiche del protagonista di un romanzo più meridionale del ducato di Amalfi..).

Eppure, Gore Vidal ad un certo punto lascia Ravello e nei primi anni del 2000 vende “La Rondinaia”, ritorna a Los Angeles e non tornerà più in Italia…

Ho avuto la fortuna di visitare la villa, alcuni decenni anni fa, dopo poco che Gore Vidal l’aveva lasciata (intatta, comprensiva ancora degli arredi, dei quadri, fino ai tappeti e alle coperte dei letti…e le rigogliose piante dei giardini ancora curate) e non trovavo (e manco ancora trovo ancora) ragioni per comprendere il distacco e l’allontanamento, improvviso e netto, che lo scrittore aveva praticato.

Sarà stato per intime sue motivazioni personali ma in generale questo distacco mi è sempre apparso come il modello della reversibilità del legame degli americani con l’Italia ed in generale con il “fuori patria”.

Anche nel caso dell’intenso rapporto di Gore Vidal con L’Italia, questo appare sempre suscettibile di interruzioni, senza remore, senza tentennamenti.

L’impressione (dalla mia relativa esperienza) è che per gli americani, ed anche per gli italo americani, il richiamo patrio sia tanto irresistibile quanto praticato. Mentre noi italiani siamo emigrati e sappiamo “trapiantarci”, ci adattiamo, loro di fatto tendono a non radicare fuori patria. Le comunità americane all’estero penso siano realtà rare (al netto delle colonie o delle loro memorie statuali).

E perciò mentre a noi italiani riesce benissimo la geniale proposta di un festival dei “due mondi” (Menotti crea la rassegna artistica per far dialogare due Culture, quella del nuovo e quella del vecchio mondo, appunto, e oggi dura con successo dal 1958), agli americani viene un po’ più difficile farlo. Agli italoamericani è forse anche più difficile.

Fosse solo per questo, il filo che state costruendo (e, non nei ritagli della vostra “casalinghità bostoniana”, come vuoi far capire, ma prosegue da decenni!!!!) riuscirà, anche perché italiani. E, per giunta, italiani che conoscono bene l’America.

Quindi, Montepulciano come Spoleto? In piccolo e filo-logicamente, si!

Ci sono immense ragioni per poterlo fare.

Certo non ci sono gli enormi capitali che Menotti mobilitò nel mondo dell’arte……

Ma le fondamenta culturali – in altro settore, in altre dimensioni, in altre prospettive e con altri mezzi – mi sembrano forti.

Due mondi che si uniscono, confrontano e vanno avanti insieme a Montepulciano…..sapendo che la direttrice est-ovest (da Oriente a Occidente: quella che praticate) è più fortunata di quella ovest-est e tanto benefica da aver favorito, in misura determinante, anche la civilizzazione del Mediterraneo.

Per quel che conta il mio punto di vista, su questa direttrice nel mio piccolo, ci sarò quando e come pensiamo meglio, e avendone discusso anche con Vinni nei mesi scorsi, mi permetto di spingermi a dire che anche lui potrebbe esserci….così come (ne sono convinto) gli altri tirreni, fenici o etruschi.

Ho navigato un po’ troppo….

Bye bye

paolo

[1] Perché sarebbe nel loro interesse? Perché non hanno ancora incontrato (magari in campo neutro come la Toscana) persone di cui potersi fidare davvero. Perché non hanno idea del potenziale imprenditoriale meridionale. Perché paradossalmente in Us le comunità italiane più numerose con cui lavorano quotidianamente sono quelle di origine calabrese e siciliana, ma quando poi si tratta di andare a trovare i calabresi o i siciliani in Italia “qualcosa” li trattiene. Eppure, per dirne solo una, non converrebbe a Jill Biden “capitare” a Messina come parte della campagna elettorale del marito?

 

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[1] Perché sarebbe nel loro interesse? Perché non hanno ancora incontrato (magari in campo neutro come la Toscana) persone di cui potersi fidare davvero. Perché non hanno idea del potenziale imprenditoriale meridionale. Perché paradossalmente in Us le comunità italiane più numerose con cui lavorano quotidianamente sono quelle di origine calabrese e siciliana, ma quando poi si tratta di andare a trovare i calabresi o i siciliani in Italia “qualcosa” li trattiene. Eppure, per dirne solo una, non converrebbe a Jill Biden “capitare” a Messina come parte della campagna elettorale del marito?