Bollettino n. 2.6 Sacro e profano

Bollettino n. 2.6 Sacro e profano

Sacro e profano

Cuius regio, eius religio?

Beh, non è proprio così. Si tratta di una vicenda di lungo periodo. Il primo monoteismo mediterraneo, com’è noto, è stato quello ebraico. Poi con la conversione di Costantino il grande (la cui statua, ricostruita partendo da qualche frammento superstite, oggi campeggia a Roma nei giardini del Campidoglio) si verificò la conversione dei cittadini dell’impero romano, che (non lo si dimentichi) facendo perno per l’appunto su Bisanzio-Costantinopoli durò ancora mille anni.

Ma, dal vii° secolo in poi, la religione cristiana si trovò a dover fronteggiare una possente religione monoteista concorrente, quella musulmana.

Con l’andar del tempo, la religione cristiana ha sviluppato dal suo seno una serie di differenziazioni.  Ed è a questo proposito soprattutto che il detto “cuius regio, eius religio” acquista significato (come si capisce ancor oggi in Gran Bretagna o in Russia) – mentre invece la riunificazione tedesca dell’Ottocento ha portato con sé la presenza di più religioni cristiane nell’odierna Germania…

Scrivo tutto questo perché una delle impressioni visive più evidenti di chi arriva per la prima volta negli Stati Uniti, grande paese di immigrazione, riguarda la pluralità dele religioni (e dei loro luoghi di culto), a cui via via si sono aggiunti anche alcune religioni e riti politeisti, quasi a rappresentare un vasto campionario internazionale.

Semplicemente non ci siamo abituati. Nonostante l’attuale tolleranza (e la presenza di numerosissime religioni sul nostro territorio nazionale), diamo per scontata, soprattutto nel Mezzogiorno, la prevalenza della religione cattolica.

Così, giungendo negli Stati Uniti, dobbiamo fare l’occhio alla molteplicità ed alle sue conseguenze.

Naturalmente, venendo qui con regolarità Nicoletta ed io sapevamo già degli evangelici repubblicani o dei cento pastori neri democratici, o anche del piccolo spazio riservato nei prontuari a chi si dichiara “non religioso”. Ma certo non ci aspettavamo il labirinto di origine medio-orientale apparentemente senza uscita in cui siamo capitati[1]; e gli effetti che esso sta producendo sulla campagna elettorale in corso.

E’ vero infatti che le interpretazioni religiose assolutiste contrapposte (musulmane da un lato ed ebraiche dall’altro)  si riverberano sulla politica interna americana producendo a catena (insieme a numerose manifestazioni) la crisi esistenziale di Harvard rimbalzata in Parlamento, il mancato finanziamento della resistenza ucraina all’aggressione russa,  il ritorno pericoloso a sfondo autoritario dei tradizionali White Anglo-Saxson Protestants (WASPS), il giuoco sui due tavoli (repubblicano e democratico) del governo israeliano  d’ultradestra, il venire allo scoperto (soprattutto in Michigan) di una componente araba filo-palestinese, la spiacevole situazione “tra due fuochi” in cui si è venuta a trovare l’Amministrazione Biden…

Una parola sugli ebrei americani. Sono il 75% degli ebrei che vivono fuori di Israele. Mi rendo conto che in questo momento la loro comunità è ammutolita; che la situazione degli ostaggi in mano ad Hamas e la condizione di guerra in cui si trova Israele rappresentano un fardello pesantissimo, fino al punto di non accettare più nessuna critica – mentre fino poco fa, mi disse un amico ebreo (di Albert Hirschman e nostro), era meglio non parlare del governo israeliano “per non guastarsi l’appetito”.

Ma non posso pensare che “tutto finisca in tragedia”. Un sussulto di coscienza dovrà pur verificarsi prima che l’attuale sciagura passi ogni limite mettendo a repentaglio le stesse prospettive di medio-lungo periodo dei due popoli nemici. Lo dico come presidente dell’Istituto Colorni-Hirschman, intitolato non a caso a due grandi intellettuali si origine ebraica. E penso anche che, in questa situazione, la recente “celebrazione” di Eugenio Colorni a New York abbia rappresentato un piccolo exploit: una “pietruzza” colorniana in controtendenza…[2]

Luca

Le vieux homme

(prosegue)

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[1] Mi verrebbe da gridare ”attenti al Minotauro della guerra”.
[2] Alludo naturalmente a “Pietre” la rivista giovanile d’ispirazione gobettiana che pubblicò il primo scritto di Eugenio.