Bollettino n 2.7 Quattro passi nel futuro (I)

Bollettino n 2.7 Quattro passi nel futuro (I)

Quattro passi nel futuro (I)

Da sempre l’umanità si interroga sul proprio futuro.
Tutti vorrebbero sapere cosa succederà (o potrebbe succedere).
Da qui l’importanza dei presagi.
Gli etruschi, a quanto pare, erano assai esperti in quell’arte della previsione.
Scrissero dei libri sull’aruspicina basati (forse) sul volo degli uccelli, ci informa Cicerone; libri che però non ci sono pervenuti…
Meglio così, perché mancandomi la classica sfera di cristallo, intendo limitarmi a qualche osservazione frettolosa.

  • Innovazione e high tech

Le consideriamo spesso le locomotive del futuro e non posso negare che l’idea abbia un certo fondamento.
Ma, in proposto vorrei riprendere il discorso dall’osservazione comune, secondo cui il mondo va di fretta (Bollettino n. 2.3). Il mio scopo (braudeliano)era quello del “vedere e far vedere”. D’accordo; ma con quali conseguenze?
L’Open Innovation prometteva molto, ma ha delivered?
Ad un anno di distanza dal Taccuino n, 4, ci troviamo di fronte ad una situazione paradossale che abbaglia la vista: il maggior avanzamento, quello dell’intelligenza artificiale di Open AI è diventato chiuso, perché quella piccola impresa l’ha venduta l’AI a Microsoft – fino al punto che tale chiusura viene ora contestata da uno degli uomini più ricchi del mondo!
Questo per dire che se è vero che un’innovazione può aprirsi, è vero anche che può chiudersi. E quindi che esiste una sorta di mulinello, di girotondo tra i due processi.
E la gente cosa ne pensa? Se non erro: poco o nulla.
Nel senso che questa volta abbiamo trovato negli Stati Uniti, una certa passività, un po’ di fatalismo.
Certo, giorno per giorno, l’high tech e l’AI continuano ad insinuarsi nella vita di tutti.
Ma ciascuno pensa al suo angoletto (che, sorprendentemente per gli Us, è spesso lo stesso!).
Vista dal basso l’intraprendenza americana appare un po’ appassita.
La sua tradizionale “restlessness” sembra scaricarsi su aspetti secondari relativi alla differenziazione dei prodotti – come il caffè all’olio d’oliva palermitano di Starbucks o le mescolanze strabilianti delle false birrette….
Cresce così la confusione differenziata – dal cibo al life-style.
Molti si sentono abulici e bloccati.
Da tutto questo scaturisce allora una domanda per il futuro: riusciranno quelle locomotive dello sviluppo democratico a rimettere in moto l’imprenditorialità di base della gente comune?

  • Imprenditorialità e funzione pubblica

M’è tornata in mente un’osservazione di Fernand Braudel dei primi anni ’80 del secolo scorso – quando il declino della traiettoria storica del Movimento Operaio stava diventando palese. Mi disse che, dal punto di vista della “longue durée”, la questione contadina era molto più importante di quella operaia. Probabilmente, intendeva contadina in senso ampio, includendo gli artigiani e i commercianti, e quindi le diverse forme di imprenditorialità. Nel Mediterraneo, si sono formate in tempi antichissimi, acanto alle aristocrazie terriere, pubbliche e militari – quelle che i francesi chiamano noblesse d’épée (di spada).
Dunque, per quanto riesco a capire, il richiamo di Braudel si riferiva alla storia lunghissima di queste due classi – quella imprenditoriale e quella nobiliare – che certo non si sono amate reciprocamente, in secula seculorum.

Ora nel mondo occidentale, a partire dagli Stati Uniti che sono nati da una rivoluzione contro l’aristocrazia britannica, la classe aristocratica è andata perdendo rapidamente le penne (io stesso posso testimoniarlo per il secondo dopoguerra). Ma le funzioni pubbliche e militari che essa aveva svolto per tanto tempo non sono affatto scomparse. Anzi, com’è noto, son di molto cresciute. Esse vengono assolte costruendo di volta in volta una simil-aristocrazia culturale, amministrativa, politica, militare. Fortunatamente, gli Stati Uniti vennero trascinati (di controvoglia) a combattere e a vincere la Seconda guerra mondiale dalla genialità di Franklin Delano Roosevelt (e di Jean Monnet).
Si trovarono a gestire un “instant empire” – diceva ironicamente Albert Hirschman.
Ma erano in grado di farlo?
Solo in parte, bisogna riconoscere (nonostante le immense facilities americane) …
La storia ha emesso il suo verdetto.

Luca
Er vecchiaccio

(prosegue)