Bollettino n 3.1 Verso l’abisso I

Bollettino n 3.1 Verso l’abisso I

Verso l’abisso? (I)

Cari amici,

come sapete, in questa parte del mondo gli inverni sono lunghi, e alla fine… snervanti. Solo da qualche giorno si sente nell’aria un soffio di primavera. Se penso alla seduzione inebriante della zagara o ai mandorli in fiore dell’agrigentino, mi mangio le mani e comincio ad aver voglia di casa. Mancano tuttavia due settimane alla nostra partenza. Conviene così cominciare a stilare un primo bilancio di questa ultima avventura di Nicoletta e mia che verrà archiviata nel nostro ricordo come una delle più difficili. Perché inesorabilmente crescono gli anni e gli acciacchi. E perché l’evoluzione complessiva sembra volgere al peggio. 

“Abissinia abisso!” gridava da Harvard Gaetano Salvemini a metà degli anni Trenta del secolo scorso. 

E noi allora… cosa dobbiamo gridare?

Prima di arrivare a quel punto ingrato, vorrei però partire dall’altra faccia della medaglia.

Il 15 abbiamo presentato An America in Antiquiry? Mediterranean Perspectives: “La pensée de midi” and “Our Mezzogiorno” (Bordighera Press, 2024) al North-End, la tradizionale “Little Italy” di Boston. Naturalmente, gran parte degli italiani immigrati, quelli del tempo che fu, si sono poi trasferiti altrove. Ma il ricordo di quell’epopea è ancora presente. Cosicché una quindicina d’anni fa, un giovane romano figlio di un dirigente dell’Eni dell’epoca di Enrico Mattei, la cui moglie è ricercatrice medica da queste parti, pensò di avviare proprio in quelle stradine una libreria italiana, che ora dopo il Covid ha riaperto in un locale più grande – “I AM Books”, vale a dire libri italiani e americani. Essa accoglie festosamente il visitatore con l’ultimo verso della Divina Commedia: di questi tempi sembra un miraggio…

E’ lì, dunque, che in poche persone – Nicoletta ed io, Anthony Tamburri in video, Michael Woolcock con moglie in presenza e pochi altri – abbiamo riattraversato per un paio d’ore abbondanti le mie Prospettive mediterranee (tramite una discussione aperta e interessante che purtroppo, per un problema tecnico, non è stata registrata). Alla fine ci siamo convinti ancora una volta che il nostro gioco, per quanto picciol sia, vale pur sempre la candela.

Presento innanzitutto i nostri ospiti:

Anthony Tamburri, letterato americano/italiano, direttore del Calandra Institute di studi italo-americani della CUNY e nostro editore newyorkese è il partner estero del nostro Istituto che più si sta appassionando al nostro lavoro. (Per il record: alla Bordighera Press siamo giunti ormai all’ottavo libro ed abbiamo favorito l’“up-grading” universitario della stessa casa editrice). Al termine della presentazione mi ha detto Anthony T. che nella nostra nuova collanina in inglese, “Il nostro Mezzogiorno”, dobbiamo insistere sulla Jeunesse de la Mediterranée di Gabriel Audisio (acquistarne i diritti da Gallimard, curarne l’edizione inglese ecc.) perché per quella via il bistrattato Sud italiano e la sua stessa emigrazione nel mondo riacquistano tutta la loro dignità e centralità mediterranee (per collocazione, storia, cultura ecc.). Good!

I coniugi Woolcock invece, che sanno ancora pochissimo dell’Italia, avevano appena visto al cinema l’emozionante “Cabrini” (una pellicola che poi Nicoletta ed io abbiamo trovato utile a complemento di tante letture invernali sull’immigrazione italiana in US). Michael W. è sociologo capo alla WB ed insegna alla Kennedy School di Harvard. Ci eravamo già incontrati a Napoli ad una sua lezione ospitata di Valeria S. (che precedentemente aveva seguito qui a Cambridge-Boston un suo corso sulla cooperazione). Si occupa attualmente della riforma delle istituzioni della Cambogia. Con l’aiuto dei nostri amici della WB dobbiamo continuare ad avvicinarci, vicendevolmente, consapevolmente…

Sì, d’accordo, penserà un po’ spazientito il lettore frettoloso: ma di cosa avete discusso? 

Beh, per dirla in un guscio di noce, scriverei: 

primo: che sulle origini della nostra civilizzazione occidentale (e quindi anche sulle sue prospettive) ci hanno raccontato un mucchio di balle.

Vale a dire?

Vale a dire che il retaggio greco-romano (o meglio, seguendo Orazio, dovremmo chiamarlo il retaggio romano falso-greco) esiste davvero, ma non è all’origine della nostra civilizzazione, ne rappresenta piuttosto la camicia di Nesso…

Il nostro incivilimento arcaico è venuto da Oriente, tramite persone e commerci via mare (anche di più che per via terra). Aveva ragione Carlo Cattaneo: si è trasformato in civilizzazione in modo autoctono (appenninico, etrusco, ecc.) nel secondo millennio avanti Cristo. Ed ha avuto fin da allora le caratteristiche delle città-stato e delle città costruttrici di città e dunque federaliste. Le colonie fenice e magno-greche del centro del Mediterraneo si insediarono alcuni secoli più tardi ed ebbero anch’esse le caratteristiche delle città-stato e delle federazioni. Accelerarono i tempi dell’incivilimento. Ma in seguito tale processo interattivo condusse infine allo scontro tra Cartagine (la New York di quel tempo) e Roma ed alla distruzione del litorale tunisino e di buona parte del Mezzogiorno.

Quindi è esistita un’intera epoca preromana. Abbiamo scelto Pitagora di Crotone e Archimede di Siracusa per rappresentarla in copertina. Ho cominciato a pensarla così nel 2001 dopo l’attacco alle torri gemelle (perché, come si dice, la necessità aguzza l’ingegno). Ed ho proseguito dopo l’invasione dell’Ucraina, quando ho scoperto il lavoro di Gabriel Audisio e di Albert Camus degli anni Trenta e Quaranta del secolo scorso, in un certo parallelo a quello di Eugenio Colorni e di Albert Hirschman su cui mi ero a lungo affaccendato. (Insomma, l’intero ripensamento prende le mosse a cavallo della seconda guerra mondiale).

Generalmente, nel sistema nazional-imperialista di origine romana in cui abbiamo vissuto da duemila anni a questa parte, a chi vive più in alto, delle condizioni di chi se la passa più in basso, importa francamente un fico secco. Così tocca a chi si trova tra i due mondi (quello sviluppato e quello sottosviluppato) dire la verità. I quattro caballeros appena citati erano appunto di questo tipo. Io stesso ho cercato di iscrivermi al loro club, dapprima inconsapevolmente – come quando nell’Italia dl boom degli anni Sessanta il direttore dell’Istat scrisse trionfante che l’Italia si avviava ormai alla piena occupazione. Impossibile pensai e mi ingegnai a mostrare, conoscendo il Mezzogiorno, che le stesse statistiche Istat suggerivano tutt’altra conclusione (proprio come, trentacinque anni prima, aveva fatto Albert Hirschman a Trieste per le statistiche demografiche di Mussolini) …

Ma cosa fa professore, divaga? Penserà il lettore superstite. 

I federalismi, le prospettive mediterranee, ed i pericoli dell’abisso non ce li racconta?

Per oggi ho già scritto troppo – risponderei. 

Dovranno aspettare domani: la prossima puntata.

Luca, il vegliardo.