Bollettino n 3.2 Verso l’abisso II

Bollettino n 3.2 Verso l’abisso II

Verso l’abisso? (II)

Esprimo un desiderio. Invece di chiedermi tambur battente “dove andiamo a finire”, vorrei che qualcuna/o ragionasse all’inverso. 

Aspetti un momento – mi dicesse. Perché lei si riferisce a chi lavora a metà strada (in between)? Perché vede, risponderei, le donne e gli uomini sono organizzati tipicamente in verticale, a forma di piramide. Ciascuna/o desidera salire la scala e generalmente non è (o è ben poco) interessato a chi si trova sotto… 

Da qui scaturiscono allora infiniti dialoghi tra sordi – tra chi difende la propria posizione di privilegio relativo e chi rivendica, invece, la sua progressiva riduzione. Si pensi infatti all’eterna “incomprensione”, chiamiamola così, tra Nord e Sud d’Italia. Ho già raccontato, in proposito, come per effetto del boom economico il direttore dell’Istat si fosse convinto, ad un certo punto, che il nostro paese fosse ormai vicino alla piena occupazione. Ora aggiungo (a quella ‘perla’) un altro aspetto comico – ma anche tragico – della vita collettiva italiana. Vale a dire che vent’anni più tardi, leggendo le statistiche dell’occupazione (quelle successive, naturalmente) diversi addetti ai lavori pensarono (all’inverso!) che ormai nel Sud non vi fosse nulla di produttivo: solo disoccupazione… 

Ma come è possibile? – penserete.

 Saremmo al livello dei fischi e dei fiaschi, oppure a quello delle lucciole e delle lanterne?

Fortunatamente no. Non è così. Semplicemente, chi si è trovato più in alto in tali esempi ha pensato in termini di numeri e non di persone chi si trovava più in basso. Infatti, nel primo come nel secondo caso, quei miei colleghi avevano letto le statistiche “face value”, come riprova “inoppugnabile” di una tesi precostruita che avevano già in testa. Si trattava invece di tesi sballate facilmente “oppugnabili” – dato che, con un gruppo di miei allievi e collaboratori riuscii infatti ad oppugnarle, usando anche gli stessi ferri del mestiere, e scatenando così un finimondo. In conclusione, conoscendo la realtà concreta, la sua evoluzione pratica e culturale e la maniera in cui vengono costruite volta per volta le statistiche dell’occupazione, quei miei colleghi avrebbero potuto scoprire gradualmente come stavano effettivamente le cose.  

Così dunque, nelle grandi ferite divisorie tra sviluppo e sottosviluppo (ed anche tra zone più e meno sviluppate) che ancora tormentano il mondo, chi si è trovato a pensare e ad agire all’interno di ambedue i versanti della barricata è in grado di comprendere la realtà che lo circonda più di altri (in basso e in alto). Si pensi all’esperienza di Gabriel Audisio. Era nato a Marsiglia da una famiglia di teatranti (di guitti). Ad un certo punto, il padre, piemontese d’origine, era stato nominato direttore del Teatro dell’opera di Algeri. Il figlio, letterato e poeta, si occupò professionalmente delle esportazioni e del turismo dell’Algeria per conto dello stato francese. Si innamorò di quella colonia interna che faceva allora parte della Francia metropolitana (non di quella d’Outre-mer!). E’ così che ha potuto scrivere pagine bellissime sull’incanto naturale e sociale, sull’unità e la genialità del Mediterraneo, sulla sua tendenza ad assorbire le numerose dominazioni ed a ringiovanirsi nel tempo come l’alloro alla fonte, a causa delle radici profonde delle sue civilizzazioni. Ed ancora Audisio ha sostenuto la necessità di comprendere il Mediterraneo ed i paesi che gli gravitano attorno da Sud a Nord e da Est a Ovest (oltre che all’inverso, come spesso lo pensiamo), con al centro, tra i due bacini, il punto di bilanciamento della sua “statera”.  

Naturalmente, chi riesce a capire (almeno un po’ di quel che ci è concesso dalla nostra natura umana) viene poi spinto a prender partito a favore di chi si trova più in basso, soprattutto in un’epoca drammatica come quella che ha preceduto la Seconda guerra mondiale, e magari in seguito vorrebbe continuare ad essere coerente con sé stesso, “vita natural durante”. Ma non è facile come illustrano le stesse vicende personali di Audisio e di Camus che, impregnate com’erano di cultura francese, finirono per scontrarsi… con la guerra d’Algeria.

Come capirete, cari amici, in queste condizioni non è facile comprendere come vanno le cose nel Mediterraneo e nel mondo intero; e quali sarebbero le loro prospettive. 

Eppure il mio An America in Antiquiry? (che, con l’aiuto di Audisio e Camus ha tirato le fila di cinque libri-tentativo precedenti), mi pare sia riuscito a fare qualche passo in avanti. Vorrei ora riepilogare e verificare tutto ciò alla luce della situazione (preoccupante) che stiamo vivendo. Ma per poter avviare tale esercizio, ho bisogno innanzitutto di un “supplemento di istruttoria”. Il punto è questo. Cosa accade quando una grande potenza, a lungo dominante, tende a rientrare nel proprio guscio, per riprender forze e riconquistare quel dominio che le stava sfuggendo di mano, l’ho letto più volte nei libri di storia. Ma un conto è leggere il processo di “recentrage” (come lo chiamano i francesi) che, a fasi alterne, è con noi mediterranei (almeno) fin dai tempi di Cartagine, un altro è osservarlo dipanarsi per gradi sotto i nostri occhi, viverlo in presa diretta – cosa che richiede grande attenzione ad ogni stormir di fronda, riflessione, adattamento progressivo delle proprie idee pregresse ecc…

Mi fermo qui perché… non ho scelta: per spiegarmi dovrò scrivere un’altra paginetta!

Luca il vecchio

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[1] E’ un’espressione che mi ha sempre infastidito. Eppure è mille volte ripetuta con una certa apprensione, soprattutto da persone di mezz’età che mi interrogano all’improvviso, senza rendersi conto che per l’umanità (sperabilmente) la strada non finisce qui (mentre per noi, come individui, lo sappiamo già: “all’arberi pizzuti”, si dice a Roma).
[2] Giustamente, ma anche pigramente, ripetitivamente, ossessivamente, ottusamente. Basta aprire molti giornali del Sud per capire di cosa parlo. E’ un fenomeno di assuefazione giaculatoria che finisce per addormentare progressivamente le grandi, ingegnose, potenzialità intellettuali del Mezzogiorno che sarebbero invece disponibili…
[3] Mi riferisco qui, in particolare, alla rielaborazione statistica relativa ai distretti meridionali “sfornata” intelligentemente da Gianni Molinari.
[4] Vale a dire che prima la vox populi meridionale di turno aveva suggerito agli intervistati di far parte del gruppone delle/dei casalinghe/gli, pensionate/i, studentesse/i, giovani sfaccendate/i (niet come oggi si dice) ecc. E poi magari di associarsi a quei “disoccupati” che si alzano la mattina alle cinque per… andare a lavorare!. Infatti, per ragioni di divisione del lavoro (sic!), ai miei colleghi statistici ed economisti non viene neppure in mente che una parte delle risposte contengano in realtà una prece “a chi di dovere”. Vale a dire che l’interrogata/o colga l’occasione per domandare per sé (e per i suoi) un lavoro “stabile e sicuro”, migliore (da ogni punto di vista) di quello che svolge attualmente…  “Cosa mi costa?” “non si sa mai…”, – avrà pensato!
[5] Ricordo in proposito che, dopo aver subito gravi rovesci militari in terra magno-greca, Cartagine impiegò un secolo intero per riorganizzare in chiave autoritaria sé stessa e l’arcipelago federato dei fenici (che da allora si chiamarono “punici”) prima di affrontare per l’appunto le tre sanguinosissime ed ultra-distruttrici “guerre puniche” con Roma – quelle che, ho spiegato nel libro, hanno segnato una svolta tragica nella storia umana a favore del sistema nazional-imperialista.