Bollettino n 3.7 Stallo

Bollettino n 3.7 Stallo

Stallo

“Giunto al fin della licenza, io tocco…” dice il Cirano di Bergerac infilzando il malcapitato avversario…

Tocco a chi (nel senso di scemo)?

Cosa posso dire al termine di questi tre mesi americani?

Con quale conclusione prendiamo, Nicoletta ed io, la strada del ritorno?

E un argomento che avevo cercato di affrontare al termine del primo ciclo di questi Bollettini.

Sono andato a rileggere B.n.10 e mi sono domandato: sono ancora d’accordo? 

Forse sì, ma val la pena di verificare (e di approfondire), soprattutto come stanno le cose riguardo agli americani di origine italiana.

Nicoletta ed io ricordiamo ancora i loro cortei del Columbus Day di New York, che avevano un certo eco anche in Italia, soprattutto nei principali giornali siciliani.

E’ una tradizione che è venuta meno – fortunatamente, direi (perché esagerava il contributo “italico” nella scoperta e nella costruzione degli Stati Uniti, perché Colombo era in realtà al servizio del re di Spagna, perché, comprensibilmente, è stato criticato ecc.).

Ma mi è rimasta in mente una domanda. Se quelle manifestazioni non erano ragionevoli (perché non lo erano), cosa rappresentavano? 

Direi: rappresentavano un desiderio di accettazione e d’integrazione, che oggi, in larga misura, è stato appagato.

Infatti, i cognomi italiani sono ormai correnti (mentre un tempo si nascondevano).

Gli americani di origine italiana, come molti pensano, si sono dunque “sciolti” nel grande mare “bianco” dei cittadini degli Stati Uniti?

In un certo senso sì – così volevano, e così hanno ottenuto.

Vi pare poco? Riuscite a valutare le conseguenze della simpatia e dell’amicizia che traboccano oggi dagli Stati Uniti nei riguardi di tutto ciò che riguarda l’Italia? “Everybody like Italy!” – ci ha detto proprio ieri la direttrice dell’Harvard Art Museums.

Ma non è tutto. Perché, da un lato, gli americani di origine italiana non fanno parte delle minoranze nazionali (come i latinos, i neri, gli asiatici, i nativi, i muslim), ma dall’altro non appartengono neppure ai settori della maggioranza con elevata caratterizzazione – come gli ebrei, gli ortodossi, gli irlandesi…

In altre parole, gli italici di qui, con il loro giro familiare ed amicale, sono presenti e forniscono semplicemente il loro contributo ad ogni livello, senza avanzare rivendicazioni di rilievo.

E’ una atteggiamento che (paradossalmente) – lo chiarirò più avanti – potrebbe sottintendere un certo vantaggio: anche per chi lo manifesta spontaneamente, inconsapevolmente…

Si tratta di una questione in fieri che va collegata alla fase di rivalità e di ricentralizzazione in cui si trovano attualmente gli Stati Uniti. Sappiamo che essa è scaturita da un’epoca di assolutismo ideologico ultra-neoclassico e da un periodo di euforia malriposta che, aggravando la tipica tendenza antropomorfica USA a pretendere negli altri comportamenti analoghi ai propri, hanno spinto i governi americani ad una serie di errori madornali (nei riguardi della Cina, della Russia, dell’Iraq, dell’Afganistan ecc.) talmente gravi da costringerli infine a “suonare la ritirata” (che si sta rivelando peraltro tutt’altro che facile, e corretta). 

Osservando tale evoluzione, è bene notare che esiste anche qui, nel medio periodo, una tendenza all’oscillazione tra strappi e lungaggini. Alle volte prevale il ripiegamento improvviso, in altre, invece, esso viene (anche troppo) dilazionato.

Sono processi che si riverberano sulle alleanze degli Stati Uniti e poi più oltre, sull’intero pianeta, suggerendo ai diversi protagonisti di tenerne conto.

Nel complesso il mondo occidentale intende compattarsi sulla spinta americana per tener testa ai numerosi “impulsi” altrui (tecnologici, economici, militari, culturali ecc.) che lo stanno insidiando. Ma per farlo deve procedere spedito, evitando eventuali fratture interne. Infatti le tentazioni isolazioniste (che manderebbero al diavolo ogni cosa nei diversi continenti) sarebbero assai pericolose, come lo sarebbero i temporeggiamenti di fronte alle resistenze nazionaliste dei compagni di viaggio (come la Francia, la Gran Bretagna o il Giappone), di fronte alle inerzie (delle istituzioni internazionali, della cooperazione, dei trattati sottoscritti, delle spese militari ecc.)  ereditate dalla fase precedente, oppure alle manovre, spesso spericolate, degli avversari (dei voltagabbana, dei doppiogiochisti ecc.).

Ora, in queste oscillazioni (da ridurre) e in queste problematiche (da non perder di vista), intravvedo un’opportunità. 

Perché potrebbero aiutarci ad evitare il pericolo del ribaltamento dei rapporti di forza (azzerando l’epoca democratica e riproponendone invece una autoritaria) che avrebbe senza dubbio conseguenze inimmaginabili.

Perché, se ben condotte, le une (le oscillazioni) e le altre (le problematiche) potrebbero sospingere il pianeta verso una condizione protratta di bassa conflittualità in ogni campo, e quindi di “stallo”, di “impasse”, all’interno della quale (finalmente!) potrebbe riprendere vigore il nostro ragionare su “un mondo migliore”

E perché alcuni americani di origine italiana, per la loro esperienza trascorsa, per la cultura che hanno alle spalle (e per quella che essi stessi hanno promosso), e dunque per il loro contributo di pensiero e di azione, potrebbero avere un ruolo (forse sotterraneo) positivo, inatteso – negli Stati Uniti e in Italia… 

Luca 

FINE

 

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[1] Inoltre, più dettagliatamente, il noto storico di Harvard, Charles Maier, amico di Hirschman e nostro, prima di regalarci (con dedica) il suo ultimo librone su come va il mondo (piuttosto male!) ci ha parlato del suo crescente interesse per il Mediterraneo, dei suoi viaggi in Puglia e in Marocco e del suo desiderio di visitare la Sicilia…
[2] Sono sempre sorpreso di quanto poco gli intellettuali del mondo intero si interessino a questa fase specifica che pure tende a riproporsi nella storia antica e moderna e che, se non viene messa sotto controllo, può produrre come è noto, conseguenze drammatiche. Forse è la sindrome da “consigliere del principe” dell’intellettuale che lo fa desistere dal dire come stanno effettivamente le cose…
[3] Mi riferisco, per tutti, al già citato Buried Cesars and Other Secrets of Italian American Writings di Robert Viscusi, SUNY, 2006
[4] In tal modo, la nostra cultura (nelle sue numerose diramazioni e localizzazioni) potrebbe cominciare a svolgere una funzione di primo piano nell’indispensabile processo di compattazione dell’Occidente.