Bollettino n. 3 Giocare in difesa

Bollettino n. 3 Giocare in difesa

Giocare in difesa?

“Del futur non v’è certezza” – dice il poeta.
Sì, d’accordo… – dialogo con me stesso. Ma cosa vedo oggi nella palla di vetro?
Francamente, continuo a vedere una tendenza al ripiegamento, al recntrage degli Stati Uniti.
E’ di ieri, tanto per dirne una, la notiziola della decisione di ritirare 2.500 truppe dall’Iraq su richiesta di quel governo, ufficialmente perché il pericolo dello Stato Islamico è venuto meno (anche se l’altro giorno ha messo una bomba a Teheran che ha ucciso più di cento persone); ufficiosamente perché quel contingente è diventato un target preferito dei numerosi attacchi delle milizie filoiraniane (fortunatamente, finora senza conseguenze mortali). Ma come? – mi interrogo. A parte la trentina di guerricciole minori che esistono in giro per il Global South, non vi sono forse nel mondo tre guerre maggiori in corso (prima erano due: si è aggiunta nel frattempo quella degli Houthi – basta dare un’occhiata ad una carta geografica per rendersene conto)? E non è vero forse che in tutte e tre l’Occidente si torva in difficoltà (gli ucraini stanno finendo le munizioni, la pesante reazione israeliana al massacro di Hamas ha sollevato un vespaio mondiale, mentre nello Yemen non è ancora chiaro chi dovrà impegnarsi per davvero)? E poi, cosa sta facendo la Cina? Ripresasi dal covid, non sta forse riprendendo la sua politica di potenza nazionale e mondiale? Negli ultimi giorni, il Segretario di Stato americano Anthony Blinken ha trovato il tempo di far visita a quattro stati africani che si affacciano sull’ Atlantico. E perché? Perché gli Stati Uniti vorrebbero evitare che la Cina costruisca una grande facility militare sul nostro oceano. “Per noi – ha affermato Blinken in Angola – la questione è presentare una buona scelta. E poi il popolo deciderà”. Dunque da un lato l’Occidente subisce una spinta militarista che fa capo innanzitutto alla Russia e all’Iran; dall’altro assiste di nuovo alla penetrazione economica cinese (che tende anche a trasformarsi in militare). Si potrebbe concludere scherzando che gli Stati Uniti e l’Occidente pensino che “il miglior attacco è la difesa” (capovolgendo così un noto adagio calcistico)? Naturalmente, esiste qui negli US chi la vede all’inverso. Pensa che l’eroico popolo ucraino riuscirà a reggere (magari sostenuto più sottobanco dall’Occidente). Sottolinea che la Russia ha perso due terzi di mezzi blindati e l’87% degli effettivi dell’invasione (reclutati in prevalenza da zone sperdute e da minoranze nazionali che, per quel poco che si sa, hanno cominciato a ribellarsi). Valorizza le lotte libertarie (più femminili che maschili) che si intravedono in Iran, in Afganistan, in Iraq. Ritiene che, magari con un nuovo governo, Israele finirà per accettare la soluzione dei due stati in Palestina (garantiti a livello internazionale), anche per spostare la bilancia politica medio-orientale a favore del Patto di Abramo con i paesi musulmani moderati che darebbe un grande impulso a tutta la regione – sempre, è chiaro, che Donald Trump non ci metta la coda!
Comunque sia, cari amici, i problemi restano. Se non vuole esser sopraffatto, l’Occidente deve riconquistare la sua autorità morale. Ha ragione Paola Cascinelli (nella mail qui acclusa). Non dovremo mai perdere di vista questa tesi, anche nell’immane sforzo colorniano di costruire, nonostante tutto, un vero magnete d’incivilimento….

Luca (prosegue)

Cari Luca e Nicoletta,
Grazie per questo diario. Per noi, che rimaniamo da questa parte dell’oceano, sono molto utili ad allargare gli orizzonti e a “capirci” di più su dove stiamo andando. Rileggendo alcuni passi della tesi di dottorato (che ho scritto amorevolmente supervisionata da voi) per un nuovo progetto, ho trovato il seguente passaggio. …vanno poi aggiunti i problemi interni dei due contesti: la spinta verso la secolarizzazione delle istituzioni da parte islamica e la risoluzione del dilemma contemporaneo del “dubbio radicale” in Occidente, dove sembra non esistono più valori da considerare validi in modo universale. Le due problematiche non possono essere considerate indipendenti. “L’islam contemporaneo è coevo alla fine delle ideologie messianiche laiche e delle certezze di una scienza trionfante; assiste al vacillare delle legittimità costruite da e per gli Stati nazionali e al risveglio concomitante di popoli, di minoranze etnico-culturali, di comunità religiose da tempo emarginate ed oppresse da Stati accentratori, religiosi o laici” (Rivera, et al., 2002 p. 86). L’autore in questione sembra suggerire che fino a quando l’Occidente non troverà una nuova base morale su cui fondare la propria società, e quindi la propria organizzazione economica, i popoli islamici non vorranno abbandonare quella struttura religiosa che garantisce contro la disgregazione della loro società. E mi è tornata in mente il bellissimo testo di Hirschman che abbiamo letto nel nostro ciclo di letture, “La moralità e le scienze sociali”, e la necessità dell’ impegno nella vita pubblica e dell’ apertura intellettuale affermata (e vissuta) da Colorni. E la svolta intellettuale e di comportamento, l’energia prorompente di cui parli e che noi, nei nostri piccoli, proviamo a generare. Magari fossero queste le basi morali su cui fondare la più nostra società e diventare credibili agli occhi del resto del mondo che ci guarda.
Un caro saluto a voi.
Paola