Bollettino n. 8 Piccoli segreti

Bollettino n. 8 Piccoli segreti

Piccoli segreti

Un bel giorno Albert Hirschman mi disse: “una giornalista mi ha domandato: ma queste idee, professore, come le vengono in mente… Cosa gli avresti risposto?” Non me lo ricordo, ma certo quella domanda mi mise in imbarazzo. Ed è tipico che mi torni in mente adesso che ho deciso di elencare alcuni piccoli segreti del mio e del nostro lavoro. Ne abbiamo parlato alte volte; ma metterli uno dietro all’altro potrebbe esser utile…

  1. Mi sono accorto l’altro giorno, nel nostro dialogo transatlantico su National Power, che fortunatamente alcuni stratagemmi scoperti da due filosofi, Leibniz e Colorni, ed utilizzati a piene mani da Hirschman (come le percezioni confuse e distinte, le piccole idee che possono diventare grandi, le sequenze, le scomposizioni che, in parte, vanno ricomposte), possono essere assorbite facilmente dalla scienza sociale in generale. Vale a dire, perdono, nel loro stesso utilizzo, ogni astrusità e prevenzione – nel senso che alcuni partecipanti al nostro incontro (che avevano letto il mio saggio) hanno pensato: se l’hanno fatto loro, perché non posso farlo anch’io? Ottimo!
  2. Il nostro è un lavoro che funziona effettivamente solo se lo si ama. Emily, la giovane professoressa che ci ospita al Boston College me lo ha chiesto esplicitamente: “cosa ha intenzione di fare in questo periodo”. Ho risposto senza pensarci su: “il mio segreto è che amo il lavoro”[1]. La ricerca del buono e del nuovo, diceva Albert, non può essere ripetitiva (buona, ma non nuova) e neppure stravagante (nuova sì, ma no buona). Deve puntare, per l’appunto, ad un passo in avanti buono e nuovo e, aggiungo, deve essere piacevole, divertente, diventare persino un modo di vivere, un passatempo[2]. Naturalmente deve godere di una base materiale; ma non si identifica evidentemente con un semplice dovere, in cambio di una rimunerazione…
  3. Ricerche e studi preparatori, anche in collaborazione, sono certo utili, anzi indispensabili: bisogna “non darsi pace”. Ma in seguito esiste spesso “un momento della verità”, un fattore inatteso, sorprendente, un effetto scatenante di ciò andiamo cercando (e scrivendo): un incontro, un viaggio, una lettura, una statistica ecc. che mette in discussione ciò che pensavamo di avere ormai assodato. Il suo denouement – dice Colorni – può farci soffrire (perché non l’avevamo pensato prima?) e perfino arrossire. Ma poi va contestualizzato, confermato o meno, qualificato, messo in movimento ecc. Inoltre, esso può richiamare alla mente “fatti e misfatti” che ci avevano già colpito, ma non al punto da spingerci a scandagliarli a dovere…[3]
  4. E’ bene appuntare subito l’ideuzza finalmente identificata (perché altrimenti passa di mente). Ma per scriverla chiara e tonda non bisogna avere fretta. Bisogna lasciare il tempo alla mente per operare i raffronti necessari, per richiamare altre osservazioni, per trovare la formulazione più convincente ed efficace. In una parola, l’idea va macerata e liberata delle scorie con cui era venuta al mondo, per potersi presentare in società: “fresca e rugiadosa”.
  5. Non bisogna mai confondere la scoperta – che può essere anche minuscola, ma che rappresenta un avanzamento reale – con i pastoni (i riassunti, le spiegazioni, i richiami alla letteratura ecc.).
  6. Bisogna tenersi al corrente di ciò che si dice (che si dice? Che si dice? Era un refrain di un amico abruzzese). Ma è necessario anche coltivare un certo distacco dal mondo che ci circonda, per poter pensare indipendentemente, a mente fredda. Inoltre, bisogna tener conto dei diversi mercati a cui ci si riferisce. Talvolta – con Andra Ginzburg, con Marcello de Cecco e con me – Hirschman utilizzava il mercato italiano come camera caritatis. Noi possiamo fare l’inverso. Vale a dire, usare casa nostra come brodo di coltura, per poi affrontare in inglese il mercato internazionale quando ci sentiamo in grado di farlo.
  7. Per intraprendere questo lavoro, bisogna possedere un po’ di autostima e un po’ di sfrontatezza. (Ma chi ti pensa – si dice a Napoli? Beh. Non abbiamo bisogno di essere pensati!) Inoltre, trovato un bandolo, è necessario lasciargli il tempo di manifestarsi e di crescere su sé stesso. L’auto-riflessione ha in proposito un ruolo decisivo.
  8. A tal fine, è bene mettersi comodi, nel tempo e nello spazio – quello che ci è più congeniale. Nicoletta ha bisogno di una concentrazione in un ambito ristretto; io invece debbo fantasticare, magari guardando il cielo, fuor dalla finestra.
  9. Insistere su un argomento può riuscire infine a “domarlo”.
  10. Il piacere di trovare una soluzione ingegnosa ed inventiva è spesso superiore a quello (che pur esiste) di mostrarla in giro…

Luca (prosegue)

 

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[1] Il mio è un lavoro autonomo, creativo, che si insinua anche in quello manuale alleviandone il peso (degli orari, della monotonia, della noia, della sofferenza). Chi non capisce ciò confonde i due piani, e non riesce venire a capo della sua situazione. Per migliorare, deve sconfiggere la sua timidezza, insicurezza, incertezza e valorizzare intelligentemente ogni, pur piccolo, spazio di libertà creativa (si pensi alle tante innovazioni suggerite dagli operai). Deve trovare la sua ragione di diletto nell’aspetto creativo del suo stesso lavoro.
[2] E le corvée, caro mio, dove le mettiamo? Non fanno parte – è chiaro – del lavoro creativo. Si tratta spesso di un prezzo da pagare. Anche per gli autori, perché le case editrici hanno spostato su di loro tante funzioni un tempo redazionali (come bibliografie, indici, correzioni di bozze, copertine, quarte ecc.). Tocca accettare il giuoco, per evitare che dopo tanto lavoro di livello (senza pretendere peraltro il perfezionismo), si finisca infine per scivolare sulla classica buccia di banana…
[3] Si ha spesso l’impressione di aver fatto progressi, ma di non aver avuto la capacità (o la sagacia) di concludere effettivamente il discorso. Talvolta conviene far circolare elettronicamente (o anche pubblicare in poche copie e con poca spesa) il punto dove siamo arrivati, per poterlo discutere (attendendo magari il denouement successivo). Ad esempio, è così che, negli anni sono riuscito a passare da Il gioco degli dèi a Prospettive mediterranee. E’ così che anche io sono riuscito a costruire qualche mini-castelletto…