09 Feb Bollettino n. 8 Piccoli segreti
Piccoli segreti
Un bel giorno Albert Hirschman mi disse: “una giornalista mi ha domandato: ma queste idee, professore, come le vengono in mente… Cosa gli avresti risposto?” Non me lo ricordo, ma certo quella domanda mi mise in imbarazzo. Ed è tipico che mi torni in mente adesso che ho deciso di elencare alcuni piccoli segreti del mio e del nostro lavoro. Ne abbiamo parlato alte volte; ma metterli uno dietro all’altro potrebbe esser utile…
- Mi sono accorto l’altro giorno, nel nostro dialogo transatlantico su National Power, che fortunatamente alcuni stratagemmi scoperti da due filosofi, Leibniz e Colorni, ed utilizzati a piene mani da Hirschman (come le percezioni confuse e distinte, le piccole idee che possono diventare grandi, le sequenze, le scomposizioni che, in parte, vanno ricomposte), possono essere assorbite facilmente dalla scienza sociale in generale. Vale a dire, perdono, nel loro stesso utilizzo, ogni astrusità e prevenzione – nel senso che alcuni partecipanti al nostro incontro (che avevano letto il mio saggio) hanno pensato: se l’hanno fatto loro, perché non posso farlo anch’io? Ottimo!
- Il nostro è un lavoro che funziona effettivamente solo se lo si ama. Emily, la giovane professoressa che ci ospita al Boston College me lo ha chiesto esplicitamente: “cosa ha intenzione di fare in questo periodo”. Ho risposto senza pensarci su: “il mio segreto è che amo il lavoro”[1]. La ricerca del buono e del nuovo, diceva Albert, non può essere ripetitiva (buona, ma non nuova) e neppure stravagante (nuova sì, ma no buona). Deve puntare, per l’appunto, ad un passo in avanti buono e nuovo e, aggiungo, deve essere piacevole, divertente, diventare persino un modo di vivere, un passatempo[2]. Naturalmente deve godere di una base materiale; ma non si identifica evidentemente con un semplice dovere, in cambio di una rimunerazione…
- Ricerche e studi preparatori, anche in collaborazione, sono certo utili, anzi indispensabili: bisogna “non darsi pace”. Ma in seguito esiste spesso “un momento della verità”, un fattore inatteso, sorprendente, un effetto scatenante di ciò andiamo cercando (e scrivendo): un incontro, un viaggio, una lettura, una statistica ecc. che mette in discussione ciò che pensavamo di avere ormai assodato. Il suo denouement – dice Colorni – può farci soffrire (perché non l’avevamo pensato prima?) e perfino arrossire. Ma poi va contestualizzato, confermato o meno, qualificato, messo in movimento ecc. Inoltre, esso può richiamare alla mente “fatti e misfatti” che ci avevano già colpito, ma non al punto da spingerci a scandagliarli a dovere…[3]
- E’ bene appuntare subito l’ideuzza finalmente identificata (perché altrimenti passa di mente). Ma per scriverla chiara e tonda non bisogna avere fretta. Bisogna lasciare il tempo alla mente per operare i raffronti necessari, per richiamare altre osservazioni, per trovare la formulazione più convincente ed efficace. In una parola, l’idea va macerata e liberata delle scorie con cui era venuta al mondo, per potersi presentare in società: “fresca e rugiadosa”.
- Non bisogna mai confondere la scoperta – che può essere anche minuscola, ma che rappresenta un avanzamento reale – con i pastoni (i riassunti, le spiegazioni, i richiami alla letteratura ecc.).
- Bisogna tenersi al corrente di ciò che si dice (che si dice? Che si dice? Era un refrain di un amico abruzzese). Ma è necessario anche coltivare un certo distacco dal mondo che ci circonda, per poter pensare indipendentemente, a mente fredda. Inoltre, bisogna tener conto dei diversi mercati a cui ci si riferisce. Talvolta – con Andra Ginzburg, con Marcello de Cecco e con me – Hirschman utilizzava il mercato italiano come camera caritatis. Noi possiamo fare l’inverso. Vale a dire, usare casa nostra come brodo di coltura, per poi affrontare in inglese il mercato internazionale quando ci sentiamo in grado di farlo.
- Per intraprendere questo lavoro, bisogna possedere un po’ di autostima e un po’ di sfrontatezza. (Ma chi ti pensa – si dice a Napoli? Beh. Non abbiamo bisogno di essere pensati!) Inoltre, trovato un bandolo, è necessario lasciargli il tempo di manifestarsi e di crescere su sé stesso. L’auto-riflessione ha in proposito un ruolo decisivo.
- A tal fine, è bene mettersi comodi, nel tempo e nello spazio – quello che ci è più congeniale. Nicoletta ha bisogno di una concentrazione in un ambito ristretto; io invece debbo fantasticare, magari guardando il cielo, fuor dalla finestra.
- Insistere su un argomento può riuscire infine a “domarlo”.
- Il piacere di trovare una soluzione ingegnosa ed inventiva è spesso superiore a quello (che pur esiste) di mostrarla in giro…
Luca (prosegue)